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ECOCOLORDOPPLER IN MEDICINA INTERNA

ECOCOLORDOPPLER IN MEDICINA INTERNA

UTILIZZAZIONE DEL DOPPLER IN MEDICINA

PRINCIPI FISICI

L’effetto Doppler, (dal nome dell’autore che lo individuò nel 1842) si basa sul principio che ogni forma di energia vibratoria (suono, luce ecc) generata o riflessa da un corpo in movimento, subisce una variazione di frequenza rispetto a quella che avrebbe se il corpo fosse immobile.

Ad esempio se un emettitore ed un ricevitore sono ad una distanza fissa tra loro si osserverà che il numero di impulsi trasmessi in un intervallo di tempo, ad esempio 10”, è uguale a quelli ricevuti, mentre se il ricevitore fosse in movimento verso il trasmettitore nello stesso intervallo di tempo capterebbe oltre ai segnali emessi nei 10” quelli in avvicinamento ricevendo quindi più impulsi di un ricevitore fisso, all’opposto un ricevitore in allontanamento non percepirebbe tutti i segnali emessi in 10” ma meno.

Nella nostra pratica un fascio di ultrasuoni, prodotto da un cristallo piezoelettrico eccitato da un impulso elettrico,  inviato verso un vaso, nel cui lume scorrono delle particelle (principalmente le emazie), ad una data velocità, determinerà un’eco di ritorno a frequenza differente da quella dell’ultrasuono inviato. Tale differenza di frequenza (DF) è proporzionale alla velocità del flusso e dal suo calcolo è possibile ottenere la misurazione della velocità stessa.

Il DF dipende tra l’altro dall’angolo che si viene a formare tra il fascio di ultrasuoni e l’asse vascolare, la maggior differenza di frequenza si osserva quando quest’angolo è prossimo ai 0°, mentre si annulla intorno ai 90°.

La variazione di frequenza o frequenza doppler si ottiene dalla formula FD =2VF (cosq)/C, ove V è la velocità del sangue in movimento, F è la frequenza del fascio incidente, q è l’angolo tra il fascio di ultrasuoni e la direzione in cui scorre il sangue, C è la velocità degli ultrasuoni nel mezzo biologici (1540 m/sec).

Gli ultrasuoni utilizzati nel nostro campo sono prodotti dalla stimolazione di cristalli piezoelettrici; gli stessi cristalli ricevono gli ultrasuoni riflessi, determinando una variazione di potenziale. In diagnostica vascolare gli ultrasuoni utilizzati variano tra 2 e 10 Mhz e sono innocui per i tessuti biologici, attualmente vi sono emettitori a frequenze più elevate (11, 14, 20MHz). L’assorbimento degli ultrasuoni da parte dei tessuti è direttamente proporzionale alla frequenza di emissione, pertanto più elevata è quest’ultima tanto più bassa è la sua penetrazione.

Le apparecchiature doppler possono avere un emettitore ed un ricevitore separati che lavorano senza interruzioni, ed in questo caso si parla di “doppler ad onda continua”, oppure possono utilizzare lo stesso cristallo (o gli stessi cristalli) alternativamente per emettere e ricevere l’impulso; in tal caso si parla di “doppler  pulsato”, su cui si basano le metodiche doppler utilizzate nei moderni ecografi.

Per poter campionare adeguatamente un flusso la frequenza delle onde ultrasonore emesse (in pratica il numero di cicli al secondo, detta PRF ovvero Pulse Repetition Frequency, variabile secondo le sonde, es. in apparecchi tra 0.5 e 10 KHz) deve essere almeno il doppio della frequenza del segnale doppler, altrimenti si determina un disturbo nella rappresentazione  del segnale definito come “aliasing”. Tale fenomeno è rilevato quando il picco sistolico dello spettro di frequenza Doppler è rappresentato dalla parte sbagliata della linea base dello spettro; quest’artefatto può essere ovviato aumentando la PRF, ed eventualmente aumentando l’angolo q, cosicché diminuisce il valore del coseno e, di conseguenza la frequenza Doppler.

All’interno di un vaso sanguigno milioni di eritrociti viaggiano a velocità lievemente diverse, secondo la posizione endovasale, da cui viene riflessa una frequenza Doppler, costituita da uno spettro di frequenze. Tale spettro di frequenze può essere rappresentato attraverso diversi sistemi, il più utilizzato è quello che sfrutta l’analisi spettrale attraverso la trasformata di Fourier (FFT). Questo sistema determina la rappresentazione in tempo reale della curva delle frequenze con un’analisi dettagliata della velocità delle diverse componenti di flusso. Il profilo esterno della curva indica le frequenze più elevate, corrispondenti alle velocità massime, mentre le lo spettro sottostante, rappresentato mediante scala di grigi,indica la distribuzione delle frequenze in ragione delle diverse velocità degli eritrociti che attraversano il  volume campione in quel momento. L’area vuota  dello spettro corrisponde alla “finestra”, e la sua ampiezza è in relazione all’omogeneità del flusso (tanto più omogeneo è il flusso tanto più stretto sarà il range di frequenze doppler e la sua rappresentazione grafica). La curva di rappresentazione del flusso potrà apparire positiva o negativa, rispetto alla linea di base (flusso a velocità 0) secondo che la direzione dello stesso sia in avvicinamento od in allontanamento rispetto alla sonda.

L’aspetto delle frequenze doppler si modifica in base alle differenti velocità delle emazie che compongono il flusso del vaso in esame, pertanto è influenzato sia dal calibro del vaso, che dal suo decorso e dalla velocità e viscosità del sangue. Possiamo comunque distinguere due aspetti principali per quanto riguarda il flusso arterioso:

  • arterie di tipo “muscolare” caratterizzate da alte resistenze (a riposo) e che presentano un picco sistolico elevato con una stretta finestra acustica mentre la componente diastolica è assente, tale curva è spesso seguita da una componente breve a direzione invertita (onda reverse) determinata dalla risposta elastica del vaso, e, almeno nelle arterie più giovani ed elastiche da una terza componente avente la stessa direzione della prima curva;
  • arterie a bassa resistenza che irrorano principalmente organi parenchimatosi nobili, che richiedono un flusso continuo, in cui la componente sistolica è ridotta rispetto alle arterie muscolari, essendo più bassa ed allargata, ed è presente un flusso in fase diastolica, ridotto ma ininterrotto.

Tali aspetti sono suscettibili di modificazioni nello stesso vaso in base a situazioni fisiologiche: le arterie muscolari presentano un flusso più vicino alle arterie viscerali durante e subito dopo l’attività fisica, mentre alcune arterie viscerali (come le mesenteriche) che presentano resistenze elevate, somigliando ad arterie muscolari, durante il digiuno, durante la digestione presentano flusso di tipo parenchimale.

 

Il flusso venoso invece è rappresentato per lo più da uno spettro continuo, ma è modulato dalle variazioni di pressione toraciche ed è influenzato, specie a livello delle vene cave, dalla funzione cardiaca; può inoltre essere influenzato da fattori fisiologici o patologici esterni (temperatura, flogosi ecc) che possono modificarne l’aspetto, come vedremo in seguito.

Un sistema di rappresentazione di tali caratteri del flusso è la cosiddetta analisi spettrale, che analizza i flussi compresi in un “volume campione” e li riproduce in maniera più dettagliata rispetto al CW (che ha una rappresentazione lineare che rappresenta una media delle velocità analizzate), che viene rappresentata come un insieme di punti che descrivono una curva, le cui caratteristiche definiscono il flusso del volume campione in maniera più precisa.

Un’evoluzione di tale metodica, o meglio un’integrazione, e stata data dallo sviluppo del Color Doppler e del Power Doppler . Tali metodiche consentono una semplificazione dell’indagine doppler, perché permettono un’immediata rappresentazione del flusso dei vasi contenuti in un box,  definito dell’immagine in B mode (il box non è altro che uno stratagemma di riduzione del campo in esame, che, più è limitato, più è fedele nella rappresentazione).

Il CD (Color Doppler) si basa sulla tecnica di autocorrelazione del flusso, in altre parole analizza il treno di ultrasuoni riflesso in un determinato momento, rispetto a quello immediatamente precedente e successivo, tramite moltiplicazioni tra loro; pertanto se tali treni di impulsi provengono da strutture immobili saranno uguali tra loro e non saranno rappresentati, se invece provengono da strutture n movimento i segnali riflessi differiranno e si determinerà una rappresentazione grafica in colore che avrà aspetto diverso secondo che sia in avvicinamento o in allontanamento rispetto alla sonda; in genere  il rosso indica avvicinamento e il blu allontanamento. Il CD, come il doppler pulsato, è soggetto al fenomeno dell’aliasing, che risulta utile dal punto di vista diagnostico perché consente di evidenziare turbolenze e accelerazioni di flusso all’interno dei vasi, e si evidenzia con formazione di colori disomogenei tendenti al bianco o al giallo secondo l’apparecchio in uso.

Il PD (Power Doppler) consiste nell’analisi delle frequenze doppler in base alla loro intensità, è più sensibile del CD, ma non consente informazioni sulla direzione del flusso (anche se nuove apparecchiature presentano evoluzione in tal senso). Il PD è quindi dipendente dalla velocità del flusso e dal numero delle strutture riflettenti (emazie) in movimento nel box in esame. Ciò consente di avere un segnale anche per flussi particolarmente lenti, purché vi siano un numero sufficiente di strutture che determinino un segnale doppler superiore al rumore di fondo. Il PD è rappresentato da un segnale monocromatico (variabile) la cui gradazione dipende dall’intensità del segnale.

Pertanto il CD ed il PD possono evidenziare rapidamente la pervietà dei vasi, la presenza di turbolenze, la disposizione della rete vascolare, consentendo quindi di mirare meglio l’esame successivo con l’analisi spettrale.

 

Valutazione quantitativa del flusso ematico.

La velocità del flusso si calcola dalla formula V=Fd x C/2F x cos q (V è la velocità delle emazia in movimento, Fd la frequenza doppler, C la velocità degli ultrasuoni nel corpo umano (1540 m/sec circa), F la frequenza del fascio incidente e q l’angolo tra il fascio di ultrasuoni e la direzione in cui scorre il sangue.

Le apparecchiature doppler sono predisposte a calcolare tali operazioni in automatiche attraverso la semplice regolazione dell’angolo d’incidenza, che deve essere diverso da 90°, e possibilmente inferiore a 60°, compreso tra i 20 e i 60°. Tale misurazione va effettuata sull’asse lungo del vaso. L’esame del profilo doppler consente quindi, di valutare le velocità del flusso nei vari momenti e di ricavare degli indici di valutazione quali l’IR (indice di resistenza) e l’IP (indice pulsatilità), utilizzati nella diagnostica dei distretti arteriosi periferici.

IR= Vs-Vd/Vs

IP= Vs-Vd/Vm

(Vs = velocità sistolica, Vd = velocità diastolica, Vm = velocità media)

 

GLI ARTEFATTI

Si distinguono in quantitativi:

  • Artefatti che rilevano segnale doppler non reale, dovuto per lo più a vibrazioni trasmesse dalle pareti di vasi vicini o dal cuore, sono detti artefatti di parete e si presentano come rumore sordo sistolica con picco sistolico vicino alla linea di base al doppler, mentre al CD si visualizzano come macchie irregolari di colore. Possono essere ridotti da filtri che taglino le frequenze più basse. Tali artefatti possono avere un ruolo diagnostico in corrispondenza delle fistole artero-venose, ove si determinano importanti vibrazioni delle pareti vasali, tali da mascherare il vaso stesso; sono visibili anche nelle fistole più piccole e perciò vanno rivalutati nel tempo, per l’eventuale controllo e approfondimento diagnostico. Questo tipo d’artefatto può essere riscontrato in corrispondenza di formazioni liquide pervasali, es. colecisti o cisti, per eccessiva amplificazione del segnale.
  • Artefatti in cui il segnale doppler non viene rilevato. Ciò può occorrere o per via di flussi lenti, eliminati dai filtri di parete, situazione attualmente poco frequente per l’utilizzazione d’apparecchiature multifrequenza, ma che può essere ridotta con l’abbassamento della PRF e dall’uso del PD. Va ricordato che l’angolo di 90° può annullare il segnale doppler, perciò è sempre utile spostare l’angolazione della sonda e rivalutare il vaso.

Altri artefatti sono qualitativi:

  • In vasi tortuosi o in vasi al di sopra o sotto a quello esplorato, si possono osservare al CD dei colori diversi. In questo caso non si tratta di veri e propri artefatti, ma di risposta tecnica dell’apparecchio.
  • Effetto specchio, che comporta la presenza di false immagini speculari al di sopra o sotto alla linea di base, tale artefatto è legato ad un’eccessiva amplificazione del segnale doppler che impedisce all’apparecchiatura di definire la corretta provenienza del segnale, pertanto può essere eliminato con la riduzione del guadagno ed è più evidente in prossimità d’interfacce acustiche (ossa, fasce muscolari).

 

 

L’Ecocolordoppler nella diagnostica della patologia venosa periferica

 

CENNI ANATOMIA SISTEMA VENOSO ARTI INFERIORI

All’inguine si esplora la vena femorale comune in posizione mediale rispetto all’arteria femorale comune e, più in basso, tra la femorale superficiale e profonda. In corrispondenza della piega dell’inguine, definita fossa ovale, è presente la crosse safenofemorale, in altre parole il punto d’ingresso della grande safena, o safena interna, zona cruciale per l’insufficienza venosa superficiale.

Successivamente continua col nome di vena femorale superficiale descrivendo un percorso curvo e dirigendosi medialmente e posteriormente verso la piega posteriore del ginocchio, attraversando il canale degli adduttori; nel suo percorso è accompagnata dall’arteria femorale superficiale. Alla piega del ginocchio assume il nome di vena poplitea, dove, dopo alcuni centimetri, sfociano un ramo superficiale, la vena piccola safena, e dei rami affluenti dai muscoli gemellari (sono presenti numerose varianti) e successivamente si biforca nelle vene tibiali anteriori e posteriori, quasi sempre doppie, che accompagnano le rispettive arterie, provenienti dalla zona laterale e mediale di gamba.

 

SISTEMA VENOSO SUPERFICIALE

La crosse in realtà e la sede ove sboccano rami superficiali provenienti da vene superficiali dell’addome: circonflessa iliaca superficiale ed epigastrica inferiore; regione pubica: vena pudenda esterna superficiale; coscia: collaterale anterolaterale e posterolaterale di coscia. Tutti questi rami in genere confluiscono nella grande safena prima della crosse, ma sono presenti numerose varianti, perciò alcuni rami possono sfociare direttamente nella vena femorale comune, oppure possono confluire tra loro prima di sfociare nella grande safena.

La grande safena, sotto alla crosse, scende verso il basso, sulla faccia mediale della coscia, compresa in uno sdoppiamento della fascia superficiale connettivale, importante repere di riferimento ecografico. Al terzo inferiore di coscia in genere si superficializza, potendo perdere la protezione della fascia, e si porta posteriormente all’epicondilo femorale del ginocchio, per poi scendere anteriormente e decorrere sulla faccia mediale di gamba fino a raggiungere il malleolo mediale, anteriormente, per diventare la vena dorsale superficiale del piede. Nel suo decorso presenta numerose collaterali, le più costanti sono a livello di coscia la posteromediale ed anterolaterale, e a livello di gamba poco sotto al ginocchio due rami analoghi la tibiale anteriore superficiale e la tibiale posteriore superficiale. Il tratto di gamba è ben contenuto nella fascia per questo è più resistente alla patologia varicosa.

La piccola safena decorre posteriormente in sede mediana, nello sdoppiamento fasciale dei muscoli gemelli, è in genere molto superficiale e di piccolo calibro. Presenta quasi costantemente un ramo anastomotico per la grande safena a livello di gamba, ed un ramo che si collega alla grande safena alla coscia, in sede posteromediale, denominata vena del Giacomini.

 

da Browse Burnard Thomas –Malattie delle vene 1992 Momento Medico ed

 

Esiste un terzo ed importante ordine di vene negli arti inferiori: le vene perforanti, che rappresentano un sistema di collegamento tra le superficiali e le profonde, e che normalmente portano il sangue dalla superficie al circolo profondo, anche se secondo alcuni autori possono avere un limitato flusso bidirezionale

Le vene reticolari sono minute vene dilatate e, come le teleangectasie, dilatazione di vene capillari, non presentano caratteristiche rilevabili al doppler e hanno un prevalente significato di danno estetico.

 

da Browse Burnard Thomas –Malattie delle vene 1992 Momento Medico ed

 

CENNI DI ANATOMIA DEL SISTEMA VENOSO ARTI SUPERIORI

Le vene degli arti superiori, analogamente a quelle degli arti inferiori, presentano un circolo venoso profondo, i cui assi sono satelliti delle rispettive arterie, di cui condividono i nomi, ed un circolo venoso superficiale. Pertanto dalla radice dell’arto verso la mano avremo per il circolo profondo la vena ascellare, le omerali le radiali e le ulnari che convergono nell’arcata palmare.

La vena ascellare è una vena voluminosa, del calibro di 10 mm, valvolata,diretta verso l’alto e medialmente decorre sul piano inferiore dell’ascella presso il margine inferiore del muscolo grande pettorale, è sita medialmente all’arteria con interposizione della radice del nervo mediano ed ulnare. Dirigendosi verso l’alto si porta davanti all’arteria sino al margine laterale della prima costa, dove si continua nella succlavia. L’ascellare riceve numerose confluenti, by-pass naturali in corso di trombosi. La succlavia si porta fino all’articolazione sternoclavicolare dove si unisce alla giugulare interna formando la vena anonima o tronco brachiocefalico, che a sua volta confluisce nella cava superiore.

Le vene superficiali principali sono tre: la basilica, in posizione mediale, la mediana e la cefalica in posizione laterale sulla faccia volare dell’avambraccio e braccio. La basilica confluisce in una vena omerale al terzo medio superiore del braccio, la cefalica sfocia nella vena ascellare, la mediana confluisce nella basilica alla piega del gomito.

 

 

 

 

 

ESECUZIONE ESAME ECOCOLORDOPPLER

 

Si utilizzano sonde lineari con frequenza tra 7 e 12 MHz, per lo studio della vena cava inferiore e delle iliache si utilizzano sonde convex tra 3 e 5 MHz.

Lo studio del circolo venoso degli arti inferiori va eseguito prima su paziente in decubito supino, che consente uno studio particolareggiato del sistema venoso profondo e l’esecuzione delle manovre di compressione, e, successivamente con paziente in ortostasi (nelle persone anziane e defedate personalmente faccio assumere la posizione seduta), posizione che provoca il riempimento venoso, e, di conseguenza, una dilatazione del sistema venoso superficiale, e pertanto consente una più accurata valutazione dei reflussi, sia nelle sindromi varicose, sia nelle sindromi postflebitiche a livello profondo, e a livello delle vene perforanti. Si eseguono manovre di compressione-rilasciamento.Utile un rialzo che consente un più comodo studio del paziente.

Le vene degli arti superiori si studiano con sonde lineari con frequenza tra 7 e 12 MHz, con paziente in posizione supina o seduta.

 

L’esame degli arti inferiori viene eseguito dall’alto in basso, dall’inguine verso i piedi (ma può essere eseguito in senso inverso), esaminando prima il circolo profondo con valutazioni ripetute del color e o con manovra CUS, successivamente si esplora il circolo superficiale con paziente in ortostasi (o seduto) con gamba extraruotata. E’ opportuno valutare visivamente e palpatoriamente gli arti del paziente prima di eseguire l’esame, per non lasciarsi sfuggire piccole aree di varici o di ipodermiti che possono non essere visualizzati dall’esame in penombra.

 

 

PATOLOGIE VENOSE

 

  • LA TROMBOSI: è determinata dalla formazione di un trombo endovascolare (può essere favorita dalla compressione di masse estrinseche o da infiltrazioni neoplastiche). La presenza di un trombo determina in genere due fenomeni: la dilatazione della vena e, nel caso d’ostruzione totale l’assenza del flusso, o nell’ostruzione incompleta, la parziale riduzione del flusso. In entrambi i casi una semplice manovra di compressione, eseguita in scansione in B mode (CUS o compression ultrasonography), consente di vedere che la vena non collabisce o collabisce parzialmente rispetto alla controlaterale. La CUS raggiunge valori elevati di sensibilità e specificità (97% a livello prossimale e 62% distale, che tuttavia raggiunge l’80% se si utilizzano valutazioni complementari con colordoppler e powerdoppler). Il trombo nelle prime fasi di organizzazione può essere anecogeno, per poi diventare progressivamente iperecogeno, e molle perciò parzialmente compressibile con possibile falso negativo che può essere evitato con l’ausilio delle metodiche color. Nel caso di esame dubbio, specie alla presenza di D-Dimeri aumentati, va ripetuto dopo 5 –7 giorni, se nuovamente negativo si ha certezza diagnostica di assenza di trombosi. Tali manovre sono più difficoltose per le vene più piccole e pertanto richiedono una più accurata attenzione. Quando il trombo è visualizzabile è utile esaminare la sua coda, che, se fluttuante, può indicare il rischio di distacco con possibile embolizzazione. Nel caso di trombosi va delimitata l’estensione del trombo e controllata dopo una settimana per la sua possibile estensione. La tromboflebite superficiale consente spesso una diagnosi clinica, l’ecocolordoppler oltre la conferma diagnostica valuta l’estensione della stessa e l’eventuale interessamento delle crosse con conseguente rischio embolico.

Follow up del trombo: il tempo di riassorbimento del trombo è lungo e spesso ad un anno la ricanalizzazione è incompleta perciò non sono utili controlli ravvicinati, a mio parere la valutazione andrebbe fatta a 7 giorni, a 1 mese e a 3 mesi e successivamente ogni 6 mesi per 2 anni circa, in assenza di nuovi eventi clinici.

  • L’INSUFFICIENZA: è il fenomeno legato alla perdita (o assenza nelle rare forme congenite) dell’efficienza delle valvole venose. Il flusso venoso degli arti inferiori, infatti, in posizione eretta avviene in senso antigravitazionale e pertanto, per evitare il rigurgito ematico dall’alto in basso, il sistema venoso è provvisto di numerose valvole lungo il decorso degli assi venosi, che segmentano la colonna ematica, riducendone la pressione. Un fenomeno accessorio di notevole rilievo nella fisiologia del circolo venoso degli arti inferiori, in minor misura degli arti superiori, è rappresentato dall’efficienza delle pompe muscolari e della pompa plantare. Il corretto movimento del piede nelle deambulazione crea una compressione della soletta plantare, costituita da un groviglio di vene collegate in una rete di fitte anastomosi tra loro, spingendo il sangue che si accumula a questo livello verso l’alto ad ogni passo, per la compressione che viene esercitata al momento dell’appoggio del piede sul suolo. Questa componente dinamica viene a mancare in assenza di movimento, ma anche nel caso in cui, per difetti strutturali del piede (piede piatto etc), o caviglia (artrosi etc), o a seguito di danni neurologici (paresi etc), il corretto movimento non sia eseguito, si determina un conseguente aumento della pressione venosa, che porta, a livello capillare, ad un aumento della trasudazione con conseguente edema.

La pompa muscolare è costituita principalmente dai muscoli del polpaccio, in particolare i muscoli gemelli o surali, che avvolgono il fascio vascolonervoso a questo livello, che conseguentemente rappresenta il punto critico del sistema venoso degli arti inferiori, meno importante è tale fenomeno a livello della coscia in corrispondenza della vena femorale superficiale. Anche in questo caso la deambulazione provoca una compressione delle vene surali e poplitee, grazie alla contrazione muscolare, con conseguente spinta della colonna ematica venosa verso l’alto (grazie all’efficienza dell’apparato valvolare) pertanto una corretta deambulazione comporta una buona spremitura venosa e una buona efficienza venosa. Anche in questo caso la prolungata posizione eretta determina un aumento della pressione venosa fino a livello capillare con alterazione dei meccanismi idrostatici che portano al crearsi di edema, ma in particolare le patologie articolari, muscolari e neurologiche che riducono l’efficienza della contrazione muscolare, concorrono all’aumento di pressione veno-capillare con conseguente determinazione dell’edema declive.

E’ evidente che questi meccanismi agiscono sul sistema venoso profondo, non essendo le vene superficiali circondate dai muscoli; tuttavia il loro ruolo normalmente nel flusso venoso è piuttosto marginale poiché in realtà drenano solo il 10% del sangue destinato agli arti inferiori, in particolare principalmente quello destinato a cute e sottocute. Tuttavia il sistema venoso profondo influisce in maniera notevole sul sistema superficiale, perché in conseguenza della depressione che si viene a creare a questo livello durante la deambulazione, aspira a livello delle crosses e delle vene perforanti il sangue dalle vene superficiali, determinandone uno scarico efficiente.

In conclusione l’insufficienza venosa è determinata sia da un danno degli apparati valvolari (la cui importanza è tuttavia diversa secondo il segmento venoso interessato) sia da un danno del sistema delle pompe plantare e muscolare; inoltre la conseguenza di tale inefficienza comporta una trasudazione linfatica declive con progressivo scompenso del sistema linfatico per questo è corretto parlare alla presenza di edema di origine venosa di edema flebolinfatico.

Il danno valvolare può quindi essere legato a rare forme di agenesia parziale o totale, a lassità costituzionale delle valvole con aspetto prolassante o più spesso a conseguenze di fenomeni trombotici che determinano una retrazione dei lembi valvolari. Tutti questi fenomeni comportano un’incontinenza ematica, perciò, in condizione di ortostasi, si determina un rigurgito (reflusso) ematico verso il basso, con conseguente aumento del volume ematico delle vene più declivi, un aumento della pressione venosa e quindi capillare con trasudazione linfatica che determina edema, la cui entità dipende dalla gravità e durata del danno. L’edema flebolinfatico è per lo più molle nelle prime fasi con evidente fenomeno dell’impronta alla digitopressione, che scompare lentamente e spontaneamente, ma col progressivo scompenso linfatico può assumere l’aspetto del linfedema con le conseguenze patologiche che esso comporta (progressivo danno cutaneo con sclerosi e dermatite) e tendenza alla formazione di ulcere cutanee per il progressivo danno cutaneo secondario all’ipertensione venosa.

Come già accennato l’insufficienza valvolare assume importanza diversa secondo l’entità del danno valvolare (maggiore è il reflusso più gravi sono le conseguenze) e secondo la sede del danno: l’insufficienza del sistema venoso profondo è quindi sempre più grave di quella superficiale, perché colpisce la parte più efficiente del sistema venoso degli arti inferiori, ma anche a questo livello il danno varia secondo la sede comportando maggiori conseguenze se è danneggiata la vena poplitea, o come più frequentemente avviene, il segmento popliteosurale, per la mancanza di sistemi di compenso più bassi, mentre il danno delle vene femorali è in genere sufficientemente compensato dal sistema popliteo.

L’insufficienza del sistema venoso superficiale si evidenzia clinicamente con un aumento progressivo del calibro delle vene, con comparsa di dilatazioni varicose, di edema dell’arto interessato e più raramente di ulcerazioni cutanee.

 

INDICAZIONI DELL’ ESAME

 

1) Gamba e/o gambe gonfie

2) Algie gamba

3) Varici

4) Ulcere cutanee

5) Controllo pre e post chirurgico in ortopedia, ginecologia, chirurgia urologia e addominale; monitoraggio pregressa TVP.

 

ESAME DEL PAZIENTE:

 

TVP: il primo segno ecografico di una TVP completa è dato

  • dall’aumento di calibro del vaso rispetto al controlaterale
  • dall’incompressibilità del vaso (CUS positiva)
  • modificazioni ecogenicità del vaso (materiale esogeno endoluminale fisso): il trombo recente è omogeneo, ecogeno o iperecogeno ben delimitato, il trombo vecchio è iperecogeno e disomogeneo
  • assenza di flusso al DP
  • assenza colore al CD e PD
  • circoli collaterali di compenso (per lo più superficiali safenici che presentano in genere flusso accelerato con scarsa o assente modulazione)

in alcuni casi è possibile vedere la coda del trombo flottare cranialmente

 

segni accessori possono essere la fissità delle valvole e la mancanza di flusso alle manovre di compressione a monte

Nella TVP incompleta persiste un’area più o meno evidente di flusso, la compressibilità è parziale, in genere il flusso è accelerato.

 

Quadri clinici che inducono sospetto di TVP:

  • ematoma muscolare
  • cisti poplitea (cisti Baker)
  • linfedema

 

patologie che interessano bilateralmente gli arti inferiori pongono minori dubbi rispetto alla patologia monolaterale e si esprimono sotto forma di edema (rara la trombosi completa cava inferiore o la trombosi bilaterale) ma portano spesso alla richiesta di ecodoppler

  • nefropatie
  • scompenso cardiaco
  • epatopatia ascitogena
  • linfedema primitivo
  • neuropatie o artropatie
  • filariasi (patologia da noi assente)
  • mixedema,
  • farmaci e ormoni,
  • ipoprotidemia

 

La TVS per la prerogativa di essere su base flogistica è di più facile sospetto e diagnosi clinica; gli aspetti ED sono

  • incompressibilità del lume del vaso,
  • assenza di flusso al DP e CD
  • materiale ecogeno endoluminale fisso

L’esame consente inoltre di studiare il coinvolgimento di perforanti e l’estensione del trombo (coinvolgimento di assi safenici e o di collaterali) e l’eventuale interessamento del sistema venoso profondo.

Diagnosi differenziali che possono essere poste sono:

  • linfangite,
  • erisipela
  • eritema nodoso

 

 

L’INSUFFICIENZA VENOSA PROFONDA

Salvo che per alcune rare forme di avalvulia  congenita, tale patologia è conseguenza di un danno valvolare secondario a TVP.

Il reperto ED è dato dalla presenza del reflusso, meglio visualizzabile col CD come colore rosso (con sonda posizionata dal basso verso l’alto) o come variazione di colore dopo manovra compressione- rilasciamento. La valutazione del reflusso ha importanza emodinamica perché quanto più è intenso e più esteso tanto maggiore è il suo significato patologico, nel determinismo della sindrome postflebitica.

Valutare nel reflusso:

  • intensità,
  • durata,
  • estensione in lunghezza.

 

L’INSUFFICIENZA VENOSA SUPERFICIALE

 

Anche nelle patologie superficiali la patologia dipende dall’incontinenza valvolare (più frequenti rispetto alle patologie profonde sono le displasie con assenza di valvole (es. sindrome di Klippel- Trenaunay). La patologia superficiale più diffusa è la sindrome varicosa (anch’essa di origine displasia da alterazioni della matrice connettivale della parete venosa e dello stroma valvolare). L’aspetto ecografico più tipico è rappresentato dalla presenza di dilatazioni a corona di rosario della vena e da tratti venosi serpiginosi.

 

L’INSUFFICIENZA DELLE VENE PERFORANTI

 

E’ valutabile dalla variazione del colore del flusso esaminato con le manovre di compressione-rilasciamento, anche se in genere un flusso in avvicinamento alla sonda può far sospettare l’insufficienza. Va ricordato che l’insufficienza delle perforanti può essere reversibile, quando cioè vengano meno le cause fisiopatologiche responsabili (es dopo intervento per varici o ricanalizzazione trombosi) e si ripristina una condizione emodinamica normale, il flusso può ritornare unidirezionale. Va ancora precisato che un flusso breve bidirezionale nelle perforanti non riveste tuttavia un reperto necessariamente patologico. In base al calibro le perforanti vengono definite medio-piccole se di diametro inferiore a 4 mm e grandi se superiori a 4 mm.

 

Valutazione del reflusso in base alla durata:

normale: inferiore a 0.5”

moderato: tra 0.5 e 1.0” con volume di flusso retrogrado da lieve a moderato

severo: > di 1 “ con abbondante volume di flusso retrogrado.

 

La ricerca del reflusso va effettuata a più livelli lungo l’asse della grande safena e della piccola safena per il circolo venoso superficiale, e lungo gli assi femorali poplitei surali e tibiali per il circolo venoso profondo.

Lo studio della vena può essere condotto lungo l’asse lungo o meglio (per maggior semplicità) lungo l’asse corto e soprattutto per le vene superficiali va eseguita una vera mappatura degli assi venosi. E’, infatti, possibile che l’insufficienza di una crosse venga compensata da valvole continenti più in basso e che il reflusso si incanali lungo collaterali superficiali; altra possibilità è che il reflusso non origini dalla crosse, ma da una valvola danneggiata più in basso o da una perforante insufficiente. In alcuni casi le vene sono così sottili da non mostrare un significativo flusso con le manovre dinamiche; in genere ciò non rappresenta un problema perché indica l’assenza di reflusso emodinamico.

Le vene reticolari, più frequenti nelle zone extrasafeniche, come ad esempio la regione laterale della coscia spesso non consentono l’individuazione dell’origine dei reflussi che spesso provengono da minute perforanti, non hanno in genere rilievo emodinamico comportando prevalentemente un danno estetico.

Le ulcere venose sono sempre secondarie ad un’insufficienza venosa, che può essere profonda o superficiale o spesso legata ad un’insufficienza di perforante.

 

LA VALUTAZIONE POST-CHIRURGICA

 

Uno dei motivi di controllo più frequente nel paziente operato è la comparsa di nuove varici; queste possono rappresentare una recidiva (secondaria a chirurgia incompleta) o possono essere legate a fenomeni di neoangiogenesi, frequenti in pazienti affetti da sindrome varicosa.

L’esame sarà condotto analogamente a quanto avviene nei pazienti non operati, cercando di individuare le vie di fuga del reflusso, per valutare la possibilità di un nuovo trattamento. In particolare va esaminata la correttezza della crossectomia (nel caso della neoangiogenesi si trovano numerosi vasi sottili che a valle della crosse tendono a confluire formando nuove varici, mentre la presenza di grossi rami fa propendere per una crossectomia incompleta), la presenza di perforanti insufficienti o di collaterali che portino reflusso dal territorio della grande safena alla piccola safena o viceversa.

 

STUDIO ECOCOLORDOPPLER SISTEMA VENOSO ARTI SUPERIORI

Indicazioni

•      Edema arto superiore

•      Postumi di trauma

•      Sindrome dello stretto toracico superiore

•      Valutazioni preoperatorie (by-pass)

Si utilizzano sonde lineari da 7.5 a 11 MHz

 

Punti di repere: regione ulnare e radiale del polso, faccia mediale del gomito, braccio, ascella, regione sottoclaveare distale e sovraclaveare, le vene giugulari si studiano al collo, la principale, la giugulare interna, decorre posteriormente alla carotide comune, i rami superficiali sono sottocutanei e più raramente esplorabili in condizioni normali, per la loro sottigliezza.

Il flusso venoso normalmente è continuo e modulato dagli atti respiratori

Alla presenza di patologia occlusiva si osservano i segni dell’assenza di flusso spontaneo e o provocato, la positività della CUS, e l’assenza di segnale colore al CD. Sono possibili trombosi parziali in cui l’aspetto del flusso è continuo e non modulato dagli atti del respiro.

Zona di difficile esplorazione è il tratto distale della succlavia, in corrispondenza del terzo esterno della clavicola; questo tratto spesso non è valutabile direttamente e bisogna valutare i segni indiretti della trombosi, in pratica la demodulazione dl flusso a valle e la negatività delle prove dinamiche (compressione, contrazione muscolare e respirazione), nei casi di persistenza di dubbio si ricorre ad angiotac.

Nella sindrome dello stretto toracico superiore si può determinare edema, cianosi e senso di peso, talora dolore e può complicarsi con trombosi. E’ legata alla compressione del fascio vascolonervoso per anomalie anatomiche dello stretto cervico-toraco-brachiale, le più frequenti sono megaapofisi C7, briglie ligamentose, anomalie I costa. Spesso si accompagnano, o sono presenti singolarmente, disturbi nervosi come parestesie e dolore, simile alla sintomatologia del tunnel carpale, ed arteriose con ischemia intermittente, posturale (valutazione con manovra di Adson, o manifestazioni simili al fenomeno di Raynaud.

 

La giugulare interna, più raramente l’esterna, è soggetta a trombosi con una discreta frequenza nelle patologie neoplastiche del collo. La valutazione è piuttosto semplice per la dilatazione della vena con CUS positiva.

 

 

 

 

IL LINFEDEMA

 

Il quadro clinico del linfedema è di frequente osservazione nell’esecuzione di ECD degli arti inferiori.

Il linfedema va differenziato dall’insufficienza venosa, cui in realtà spesso si associa.

Consiste nell’accumulo di linfe nell’interstizio del sottocutaneo (in sede extrafasciale) che determina dissociazione del collagene, con aspetto ecografico di lacune ipoecogene all’interno di tralci iperecogeni. Nelle forme di più lunga durata si determina fibrosi interstiziale (legata alla flogosi determinata dalla presenza di più o meno cospicua componente proteica) per questo si osservano aree decisamente iperecogene inframmezzate da lacune ipoecogene.

Clinicamente il linfedema è dato dalle gamba gonfia che alla digitopressione lascia un infossamento più duraturo rispetto a quello che si determina nell’edema venoso, inoltre, a differenza di quest’ultimo, tende ad interessare le dita dei piedi (linfedema arti inferiori) o delle mani (linfedema arti superiori).

Il  linfedema riconosce due principali etiologie:

  • primitivo o idiomatico, legato a patologie intrinseche dei linfatici come agenesie o ipogenesie,
  • secondario a:
    1. insufficienza venosa,
    2. scompenso cardiaco,
    3. insufficienza epatica,
    4. insufficienza renale,
    5. postchirurgico,
    6. post-radiante,
    7. da filarie.

Ad esclusione della forma idiomatica e della filariasi, in tutti i casi il linfedema si determina come conseguenza di un’ipertensione venocapillare che determina un aumento della trasudazione capillare cui il sistema linfatico non riesce a far fronte, con conseguente accumulo di liquido interstiziale, che tende ad accumularsi nelle zone più declivi per effetto della gravità.

Il ruolo dell’ECD nel linfedema è quindi quello di valutare la presenza di insufficienza venosa associata e consente di orientare la diagnosi in casi particolari (esempio edema limitato alla caviglia in patologie flogistico degenerative).

La flogosi linfatica o linfangite è un quadro che spesso viene confuso con quello della tromboflebite superficiale, rispetto alla quale necessita di differente trattamento, tale differenza diagnostica spesso può essere fatta con semplice diagnosi clinica ma l’ECD consente una certezza diagnostica, perciò nei casi dubbi è sempre consigliabile la sua esecuzione.

 

(da A Kappert: ANGIOLOGIA –SEU Roma 1991)

 

 

ESAME DELLO SCROTO

 

Si esegue utilizzando sonde lineari dai 7.5 ai 13 MHz.

 

ANATOMIA VASCOLARE

La vascolarizzazione dello scroto è fornita da tre rami arteriosi principali:

  • arteria testicolare o spermatica, che origina dall’aorta subito di sotto alle arterie renali e, dopo un decorso intraaddominale, esce attraverso il canale inguinale per raggiungere il testicolo ove penetra nel didimo sfioccandosi nelle arterie capsulari che decorrono sotto l’albuginea formando una rete visibile all’ Dalle arterie capsulari nascono le arterie centripete che si portano radicalmente verso il centro del testicolo per sfioccarsi nelle arterie ricorrenti. Esistono inoltre nel 50% dei soggetti delle piccole arterie a decorso obliquo, i vasi transtesticolari
  • arteria deferenziale, che segue il decorso del deferente ed è visibile nel funicolo spermatico, si dirige verso la coda dell’epididimo per anastomizzarsi con i rami epididimari dell’arteria spermatica
  • arteria cremasterica

Il circolo venoso è importante per la frequenza della patologia varicosa nota come varicocele. E’ costituito dal plesso pampiniforme, complesso di piccole vene, che confluiscono nel funicolo spermatico e formano la vena spermatica; questa mentre a destra confluisce direttamente nella vena cava inferiore, a sinistra sbocca nella vena renale ad angolo retto con incostante formazione valvolare.

INDICAZIONI DELL’ESAME

  • Varicocele
  • Sospetta torsione del funicolo
  • Sospetta neoplasia del testicolo
  • Orchiepididimiti
  • Traumi
  • Dolori in sede perineale

 

Il varicocele è la patologia testicolare più frequente, costituita da un’evoluzione varicosa delle vene spermatiche, che formano un groviglio scrotale, a volte di cospicue dimensioni. Tale patologia può essere collegata a fenomeni d’oligospermia ed infertilità (anche se in realtà tale correlazione è spesso sopravvalutata). Colpisce più frequentemente il lato sinistro, ma può essere bilaterale. E’ prevalentemente idiopatico, più di rado secondario a patologie endoaddominali.

All’ecografia si evidenzia la presenza di numerose lacune a contenuto ipoecogeno, costituite dalle vene dilatate, al PD si osserva reflusso di varia entità: spontaneo, dopo compressione-rilasciamento e dopo Valsalva. In base alle caratteristiche del reflusso e soprattutto alla sua durata, si distinguono vari gradi di gravità. (5)

La torsione del funicolo è una patologia più frequente nei giovani ed è importante il suo riconoscimento perché reversibile entro 6 ore dall’esordio, il recupero tra le 6 e le 12 ore non supera il50% e dopo le 24 ore il testicolo comunque subisce danni irreversibili con successiva evoluzione atrofica. E’ una patologia da urgenza, quindi raramente riscontrabile in ambulatorio, si manifesta con dolore lancinante al testicolo accompagnato da tumefazione, può richiedere la diagnosi differenziale da un’orchiepididimite. La diagnosi ecografia è insufficiente perché in entrambi i casi l’aspetto ecografico del testicolo è di tipo ipoecogeno e disomogeneo. Al CD si osserva una riduzione del flusso arterioso e venoso, o nei casi d’ostacolo parziale, del flusso venoso con aumento delle resistenze a livello arterioso.

L’infarto testicolare è una patologia abbastanza rara, su base embolia, si manifesta con dolore acuto. Ecograficamente in fase acuta si osserva l’aspetto triangolare della zona ischemica, ipoecogena rispetto al parenchima circostante con assenza di segnale al CD e al PD.

L’infarto venoso si determina dopo interventi d’ernia inguinale o varicocele, con flusso arterioso conservato e assenza di flusso venoso, ovviamente il testicolo presenta aumento delle dimensioni.

Le orchiepididimiti si evidenziano con l’aumento delle dimensioni del testicolo ed epididimo, con ipoecogenicità del parenchima. Al CD si osserva ipervascolarizzazione con flusso a basse resistenze. Sono possibili fenomeni di colliquazione e necrosi con formazione di microascessi. In alcuni casi, la flogosi può determinare compressione dei vasi venosi intratesticolari con possibili fenomeni ischemici.

Le neoplasie del testicolo non presentano quadri tipici diagnostici al CD, in genere si osserva un aumento della vascolarizzazione. Il seminoma, il tumore più frequente è in genere più vascolarizzato del teratocarcinoma o carcinoma embrionario. I tumori benigni sono ben vascolarizzati, mentre le localizzazioni secondarie a leucemie o linfomi tendono ad essere ipervascolarizzate.

 

I traumi testicolari non presentano reperti particolari, il CD può essere utile per eventuali valutazioni preoperatorie.

 

L’ECOCOLORDOPPLER NELLO STUDIO ARTERIOSO

ANATOMIA DISTRETTO ARTERIOSO ARTI SUPERIORI

 

L’arteria succlavia origina a destra dalla biforcazione dell’arteria anonima, mentre a sinistra origina direttamente dall’arco aortico, fuoriesce dalla gabbia toracica insieme alla vena anonima e, a livello della I costa, al fascio nervoso brachiale con cui costituisce il fascio neurovascolare. Sulla prima costa il plesso nervoso e l’arteria succlavia decorrono insieme tra i due muscoli scaleni, anteriore e medio, mentre la vena decorre separata davanti allo scaleno anteriore, il fascio neuromuscolare passa tra la I costa e la clavicola, successivamente, al di sotto del processo coracoideo della scapola e dietro al muscolo piccolo pettorale, per dirigersi poi verso l’ascella, ove si continua come arteria ascellare. Il primo ramo collaterale della succlavia è costituito dall’arteria vertebrale, seguito dal tronco tireocervicale e dall’arteria mammaria interna.

L’arteria omerale è visualizzabile lungo il bordo interno del muscolo bicipite sotto l’aponeurosi brachiale fino alla piega del gomito, dove si sposta medialmente e dopo circa 3 o 4 cm si divide in arteria ulnare medialmente, e radiale lateralmente. La vascolarizzazione della mano è assicurata da due arcate palmari, superficiale e profonda, ed una dorsale, che si costituiscono per l’anastomosi di rami provenienti dall’arteria ulnare e radiale. Dalle arcate palmari nascono le arterie metacarpali palmari, che decorrono sui muscoli interossei nei rispettivi spazi e danno origine ai rami digitali comuni, terminanti nei rami digitali palmari propri delle dita. Analogamente le arterie metacarpali dorsali originano dall’arcata dorsale e originano le arterie digitali dorsali.

 

ANATOMIA DISTRETTO ARTERIOSO ARTI INFERIORI

La biforcazione aortica è prevalentemente situata a livello d iL4 (corrispondente alla proiezione dell’ombelico) è costituita dalle due arterie iliache comuni. Può avvenire ad angolo acuto, ma talora anche di 70°. Le arterie iliache comuni giungono sino a livello della sinfisi sacroiliaca passando su L5 ed il limite esterno sello psoas, muscolo delimitato da un’aponeurosi iperecogena, sono incrociate dall’uretere. Le vene iliache sono posteriori rispetto alle arterie, ma la vena sinistra incrocia posteriormente l’arteria destra nel confluire con la controlaterale nella cava inferiore. Tale aspetto spiega la presenza di un ostacolo al flusso che secondo alcuni autori spiegherebbe la prevalenza di varici all’arto inferiore sx. Le arterie iliache, come le vene analoghe, si dividono nelle iliache esterne, che dalla sinfisi sacroiliaca giungono all’arcata crurale proseguendo nelle femorali comuni, esse sono dirette in basso sul lato mediale dello psoas. Le collaterali non sono visibili in condizioni normali, possono fungere da rami anastomotici in caso d’occlusione (arterie epigastriche e circonflesse iliache profonde). Le iliache interne, o ipogastriche, dalla sinfisi pubica si dirigono in basso e posteriormente nella pelvi per un percorso di 2-4 cm.

Le arterie femorali comuni, continuazione diretta delle iliache esterne oltre il legamento inguinale, sono situate in corrispondenza della piega inguinale in posizione laterale rispetto alla vena femorale comune. L’arteria, dopo un tratto di circa 4 cm, si biforca in due rami: la femorale superficiale che è la prosecuzione dell’asse femorale comune, e che si situa (insieme alla vena omologa) lungo la regione mediale della coscia (in sede sottofasciale), e nella femorale profonda, che si dirige posteriormente verso la muscolatura posteriore della coscia (e che è esplorabile ecograficamente solo per breve tratto).

L’arteria femorale superficiale nel suo decorso presenta rami collaterali muscolari e al terzo inferiore della coscia attraversa l’anello formato dai muscoli adduttori, portandosi posteriormente verso la regione poplitea, ove assume il nome d’arteria poplitea, poco al di sopra del canale di Hunter emette alcuni rami collaterali (la più importante è l’arteria genicolata discendente) che si connettono col sistema arterioso della femorale profonda e che rappresentano importanti by-pass naturali in caso d’occlusione della femorale superficiale, consentendo il flusso della poplitea. L’arteria poplitea si situa posteriormente e medialmente rispetto alla vena omologa, e nella parte inferiore della losanga poplitea si biforca nel tronco tibioperoneo, in diretta continuazione, e nel ramo tibiale anteriore che si porta in avanti e lateralmente al polpaccio, giungendo in sede laterale rispetto alla cresta tibiale, dove si continua nell’arteria dorsale del piede. L’arteria tibiale posteriore ha sede incostante, decorre lungo il lato mediale di gamba fino alla regione retromalleolare mediale. L’arteria peroneale decorre invece in sede posterolaterale lungo la gamba ed è più spesso rilevabile anteriormente al malleolo esterno.

La velocità del flusso si riduce progressivamente negli assi arteriosi in direzione distale:

 

Arteria Velocità media flusso (cm/sec), range
Femorale comune 115 (90-140)
Femorale superficiale 90    (75-105)
Poplitea 70    (55-85)
Tibiali 60    (40-80)

 

ANATOMIA DISTRETTO ARTERIOSO TRONCHI SOVRAORTICI

La carotide comune origina a destra dal tronco brachiocefalico costituito dall’arteria anonima che origina approssimativamente in corrispondenza dell’articolazione sternoclavicolare, mentre a sinistra origina direttamente dall’arco aortico, decorre lateralmente alla trachea e posteromedialmente rispetto alla vena giugulare e dopo un tratto di lunghezza variabile, la carotide comune si biforca nella carotide interna, che irrora il territorio cerebrale anteriore e medio, ed esterna, che irrora i tessuti cutanei e muscolari del cranio e alcune ghiandole del collo. La biforcazione può avvenire a varia altezza tra C1 e D2.

In corrispondenza della biforcazione la carotide comune presenta in genere una dilatazione circa evidente che è denominata bulbo (ed è insieme all’origine della carotide interna il punto più colpito dall’ateromasia. La carotide interna è generalmente posterolaterale rispetto all’esterna tuttavia sono possibili variazioni di questa disposizione, con gli anni inoltre le arterie tendono ad allungarsi e possono diventare tortuose.

La carotide interna nel suo tratto intracranico dopo l’emergenza dal seno cavernoso origina l’arteria oftalmica e poi si divide nelle arterie cerebrale media ed anteriore.

Il dato ecografico che più sicuramente consente di distinguere la carotide esterna dall’interno è rappresentato dalla rilevazione di un ramo collaterale (in particolare l’arteria tiroidea superiore) perché nel tratto extracranico la carotide interna non presenta rami collaterali nel tratto extracranico, generalmente inoltre quest’ultima è di calibro maggiore e tende a dirigersi posteriormente verso il processo mastoideo, mentre l’esterna è di calibro inferiore e diretta anteriormente.

L’arteria vertebrale origina dalla parte superiore dell’arteria succlavia, poco dopo la sua origine, all’altezza di C7, sale verticalmente e, a partire da C6 (possibili varianti in sede più alta), attraversa

tutti i fori delle apofisi traverse, per poi penetrare nel cranio per il foro occipitale, nel tratto intracranico si unisce medialmente all’arteria controlaterale originando l’arteria basilare, che si congiunge al cosiddetto poligono di Willis dividendosi nei rami cerebrali posteriori. Il calibro dell’arteria vertebrale varia tra i due e i 7 mm, spesso è possibile riscontrare una differenza di calibro tra i due lati con dominanza di uno (più spesso sx), non è infrequente l’ipoplasia di uno dei due lati. Variabili di una certa frequenza sono l’origine a dx dall’anonima e a sx direttamente dall’arco aortico.

Calibro CC  nella norma tra 7 e 10 mm

CI                             6    8

CE                            6    8

(DA m. Hennerici: Diagnostica vascolare con ultrasuoni 1991Pensiero Scientifico Editore)

ASPETTO ECOGRAFICO NORMALE

 

Gli elementi da osservare, nello studio ecografico delle arterie, sono rappresentati dal lume, dallo spessore della parete del vaso, dalla superficie interna del vaso, l’ecogenicità della parete.

Le arterie di tutti i distretti hanno un contenuto anecogeno con superficie del lume regolare e ben visibile. Negli assi arteriosi più grandi è ben distinguibile lo spessore intimale (intima media) che nella norma è inferiore ad 1 mm, un secondo strato, maggiormente ecogenico e di spessore maggiore, corrisponde allo strato muscolare ed avventiziale.

Il calibro del lume vasale si riduce progressivamente verso la periferia. Caratteristica peculiare dei vasi arteriosi è la pulsazione sistolica, che in asse traverso è visibile come dilatazione – restringimento del lume del vaso (più evidente nei vasi di grosso calibro), e in asse lungo come una danza determinata dall’oscillazione del vaso lungo il suo asse.

E’ sempre utile fare una valutazione panoramica delle strutture pervasali e dei loro rapporti coi vasi (compressione estrinseca etc.), per non omettere importanti informazioni utili alla clinica.

 

ASPETTO ECOGRAFICO NELLA PATOLOGIA:

STORIA NATURALE DELLA PLACCA

 

L’ECD rappresenta il metodo ideale di studio della patologia ateromasica per i vantaggi legati alla semplicità dell’esame, alla sua non invasività, ripetitività e basso costo; il limite maggiore della metodica è determinato dall’esperienza dell’operatore (ma ciò vale per qualsiasi tecnica diagnostica) e dalla qualità dell’apparecchio in uso. Rispetto all’angiografia (che rappresenta il Gold Standard dello studio arterioso) l’ECD presenta un indubbio vantaggio che è la possibilità di uno studio tridimensionale del vaso (ottenibile anche con angiografi digitali) ma soprattutto la possibilità di esaminare le pareti vasali, e non il solo lume (cosa che può essere ottenuta solo con angio RM a costi molto più elevati). Un ulteriore limite della metodica può essere legato alla presenza di calcificazioni che creano una barriera agli ultrasuoni, mascherando porzioni più o meno estese dei vasi; tuttavia questo problema è in genere ben superabile sfruttando le varie proiezioni possibili con la sonda intorno al vaso e con la valutazione del tratto a monte e a valle di tale calcificazione.

 

Nella patologia ateromasica le pareti interne dei vasi divengono irregolari e si determina la riduzione progressiva del lume con aspetti variabili in base alle caratteristiche della placca (fibrosa, calcifica, mista) che può determinare stenosi, occlusione o aneurismi.

L’ispessimento è individuabile come un aumento dello spessore dello strato iperecogeno più interno del vaso, che può essere omogeneo o con piccole soluzioni di continuità; in corrispondenza di questa banda iperecogena è possibile talora riscontrare aree iperriflettenti da calcificazioni puntiformi. Quando lo spessore dell’intima-media supera 1 mm possiamo già parlare di placca, esiste pertanto una linea di confine incerta tra l’ispessimento e la placca, ciò non è importante perché si tratta di lesioni non determinanti turbe emodinamiche, riveste però importanza nella valutazione terapeutica complessiva del paziente (indicazione alla terapia antiaggregante, statine etc). L’ispessimento progressivo della placca nel tempo determina una conseguente riduzione del lume vascolare; tale riduzione, grazie a fenomeni d’adattamento e in base a leggi fisiche (secondo il principio di Bernoulli quando nell’ambito di un vaso si ha riduzione del calibro, si determina aumento della velocità lineare con corrispondente riduzione del gradiente di pressione), non si determinano significative turbe emodinamiche fino al 50-60% circa in condizioni di riposo (l’aumento delle richieste funzionali in caso d’attività può rendere evidente la mancata capacità di adeguamento del vaso). L’importanza della placca non è tuttavia legata soltanto all’entità di stenosi che determina in assoluto, ma anche alle sue caratteristiche di superficie, all’estensione longitudinale nel vaso interessato ed al calibro del vaso per le modificazioni di flusso che si determinano a valle.

Altri elementi di rilievo della placca sono

  • la sua superficie, una placca a superficie liscia determina più raramente conseguenze emodinamiche (sono placche fibrose o calcifiche), le placche ulcerate, visibili come minus all’ecografia o come plus di colore al CD.
  • la sua composizione, le placche disomogenee sono da considerarsi instabili per il rischio d’emorragie intraplacca che possono portare ad occlusioni improvvise  o a fenomeni emboligeni.

 

L’esame ED + ECD  ed eventuale PW consentono di rilevare sei possibili aspetti:

  • reperto normale
  • stenosi lieve, tra il 10 e il 30%, generalmente non comporta ipoafflusso o fenomeni d’embolizzazione, al doppler non vi sono alterazioni evidenti o al più si assiste ad una lieve dispersione spettrale diffusa con persistenza della finestra acustica (pertanto sono lesioni non individuabili col CW)
  • stenosi moderata, stenosi tra il 30 ed il 60%, in questo caso il flusso diminuisce e la velocità aumenta in tale distretto senza raggiungere valori patologici (picco tra i 90 e i 100 cm/sec a livello carotideo) con velocità diastoliche normali. La dispersione spettrale del flusso aumenta e si riduce fino a far scomparire la finestra sistolica.
  • stenosi significativa (emodinamicamente significativa), indica una riduzione del lume tra il 60 e l’80%, determina modificazioni fisiche del flusso a valle della stenosi che è ridotto e a pressione inferiore. La velocità del flusso in corrispondenza della stenosi aumenta, sia in sistolica sia in diastolica, proporzionalmente al grado di stenosi. Il picco sistolico è > di 100 cm/sec e può essere fino a 3-4 volte maggiore. Lo spettro delle velocità è molto disperso sempre in proporzione alla gravità della stenosi, ed è assente la finestra sistolica. Sono frequenti in questo caso fenomeni d’aliasing.
  • stenosi critica o serrata, è una stenosi preocclusiva in cui si osserva la riduzione dei valori velocimetrici con riduzione delle turbolenze, c’è dispersione del flusso a frequenze molto elevate con contorni non ben definiti
  • occlusione, c’è assenza di flusso e colore, è possibile talora osservare appena a monte dell’occlusione un’onda reverse (stump) dovuta al rimbalzare dei globuli rossi contro il vaso chiuso, al CD si presenta come mancanza di colore.

L’ECOCOLORDOPPLER NELLO STUDIO DELLE ARTERIE DEGLI  ARTI INFERIORI

 

INDICAZIONI

  • Dolore cronico arto o arti inferiori che si accentua con lo sforzo fisico (sospetta claudicatio)
  • Dolore acuto da sospetta tromboembolia
  • Indagine di screening in diabetici, ipertesi, ipercolesterolemici, coronaropatici, pazienti con ateromasia stenosante altri distretti
  • Monitoraggio postoperatorio
  • Controllo in pazienti da sottoporre ad elastocompressione

 

L’ECOCOLORDOPPLER NELLO STUDIO DELLE ARTERIE DEGLI  ARTI SUPERIORI

INDICAZIONI

  • differenza pressoria tra le due braccia di circa 20 mmHg o più,
  • sindromi algodistrofiche,
  • polso non percepibile
  • turbe trofiche

 

L’ECOCOLORDOPPLER NELLO STUDIO DELLE ARTERIE DEI TRONCHI SOVRAORTICI

INDICAZIONI

  • TIA
  • Cefalea
  • Vasculopatia di altri distretti
  • Malattia di Alzheimer
  • Vertigini non labirintiche
  • Lipotimie
  • Monitoraggio postoperatorio
  • Monitoraggio placca
  • Valutazione in ipertesi
  • Valutazione in diabetici

 

 

ASPETTO DOPPLER ARTERIOSO NORMALE

 

Il reperto doppler arterioso normale si differenzia in due aspetti fondamentali: arterie muscolari, o ad alte resistenze, ed arterie parenchimali (destinata cioè ad organi parenchimali) a bassa resistenza.

La velocità del sangue  nelle arterie varia al modificarsi del gradiente pressorio in rapporto alle fasi del ciclo cardiaco, al comportamento della parete dei vasi ed alle resistenze nel distretto vascolare cui è destinato il flusso.Le due onde di velocità e pressione sono quindi strettamente connesse. Il gradiente pressorio aumenta progressivamente a partire dall’inizio della sistole ventricolare per diminuire verso la sua fine; parallelamente l’onda velocimetrica mostra una fase di accelerazione rapida seguita da una fase di decelerazione più lenta interrotta da un’intaccatura a una piccola onda (dicrota) legata alla chiusura delle semilunari aortiche. Dopo la chiusura delle semilunari il gradiente pressorio  si riduce rapidamente sino ad invertirsi, nelle arterie muscolari,  il che determina un lieve flusso inverso protodiastolico con negativizzazione dell’onda velocimetrica evidente nelle arterie periferiche. Successivamente, in fase diastolica, si libera l’energia cinetica accumulata dalle pareti nella distensione elastica (effetto Windkessel), con nuovo aumento del gradente pressorio che determina una nuova onda velocimetrica positiva. Nelle arterie parenchimali la forza propulsiva determinata dall’effetto Windkessel supera le resistenze periferiche durante tutta la fase diastolica per questo l’onda velocimetrica di tali arterie è caratterizzata da una quota di flusso continuo su cui s’inscrive la componente sistolica.

La componente sistolica indica lo stato di salute del territorio a monte del tratto esplorato, mentre la componente diastolica fornisce prevalentemente informazioni sul distretto vascolare a valle. Le curve velocimetriche variano in relazione al distretto vascolare esaminato. I caratteri delle curve che vanno esaminati sono dunque rappresentati dall’altezza massima, la fase di accelerazione  e di decelerazione con presenza incisore ed i rapporti della curva rispetto alla linea zero. La curva esprime la componente pulsatoria, mentre il distacco dalla linea zero indica la componente continua strettamente connessa alle resistenze vascolari, come, infatti, a livello dei vasi cerebroafferenti (carotidi interne e vertebrali)

l’aspetto velocimetrico comunque si modifica oltre che per la patologia, come vedremo in seguito, per lo stato funzionale: durante l’attività fisica si determina dilatazione delle  arterie muscolari con incremento della quota diastolica, inoltre con l’invecchiamento si osserva una riduzione del picco sistolico, un allungamento delle fasi di accelerazione e decelerazione, a livello dei vasi cerebroafferenti riduzione del flusso continuo, e a livello dei vasi periferici degli arti, riduzione fino alla scomparsa della seconda onda positiva per fenomeni di sclerosi e quindi diminuzione dell’elasticità dei vasi.

 

Accanto a queste valutazioni qualitative possiamo utilizzare valutazioni quantitative (velocità picco sistolico etc.) di cui il test più utile nella pratica clinica è rappresentato dalla rilevazione della pressione arteriosa degli arti, in particolare nel confronto dei valori pressori tra caviglia e braccio (indice di Windsor o I.W.): la pressione sistolica dell’arteria tibiale posteriore o pedidia, in clinostatismo, eguaglia o supera la pressione misurata al braccio (arteria omerale) di circa 10-15 mmHg. Il rapporto pressorio caviglia braccio nel normale varia tra 1.0 e 1.2, valori inferiori indicano pertanto la presenza di una patologia ostruttiva  tanto più rilevante quanto inferiore è tale valore.

 

                                  INDICE DI WINDSOR (I.W.) = Pressione tibiale posteriore

                                                                                       ——————————— x100 (vn>100)

                                                                                             pressione omerale

 

 

                                  INDICE DI PRESSIONE RESIDUA = Pressione tibiale posteriore

                                                                                                 ——————————— (vn 1-1.2)

                                                                                                          pressione omerale

 

 

COME VALUTARE LA PLACCA CON L’ED, IL CD ED IL PD

 

Una volta evidenziata la presenza di ateromasia stenosante bisogna stimare l’importanza dell’ostruzione per le sue implicazioni cliniche e terapeutiche. Tale valutazione va anche riportata al distretto esplorato per il rischio relativo allo stesso.

Il grado di stenosi si valuta sia attraverso l’esame ecografico che con la flussimetria. La valutazione si esegue in vari metodi, quello più preciso è il confronto delle aree che si esegue esaminando il vaso secondo l’asse trasversale e misurando la circonferenza del vaso e dell’area di stenosi; più rapido, ma meno preciso è il confronto dei diametri tra lume residuo e lume originario del vaso.

Più importante è tuttavia la valutazione funzionale col doppler pulsato e col CD. Il doppler valuta la stenosi attraverso le modificazioni del flusso a livello della stessa e a valle.

La velocità sistolica e diastolica non subiscono variazioni di rilievo sino al 60%, per stenosi superiori a questo valore si crea un gradente pressorio con aumento della velocità diastolica (>40 cm sec), che s’incrementa notevolmente per stenosi superiori all’80%.

Un metodo di riferimento può essere costituito dal rapporto delle velocità a monte della stenosi  con quella a valle, che se superiore a 1.8 è indicativo di stenosi del 60% e se maggiore di 3.7 dell’80%.

Già a monte della stenosi specie nel territorio carotideo si può osservare l’aumento delle resistenze con riduzione della componente diastolica.

Il flusso a valle (post-stenotico) presenta riduzione sia del picco sistolico sia del picco diastolico,  che oltre il 70% assume l’aspetto di tardus-parvus.

In sintesi la velocità s’incrementa a livello della stenosi (per stenosi serrate può non essere valutabile) ma nelle stenosi preocclusive si riduce, mentre si riduce a valle per effetto delle turbolenze.

Il CD consente spesso con una rapida occhiata una valutazione della stenosi sia per le dimensioni dell’area colorata che per l’aspetto del colore dovuto all’aliasing che si determina per i fenomeni di turbolenza.

In corrispondenza del distretto carotideo si ha nella norma un flusso laminare con profilo parabolico che si evidenzia al CD con variazione della tonalità del colore, che è più chiara nella zona centrale, ove le velocità sono più alte, e diventa più scura verso la periferia, a ridosso della parete del vaso, dove per fenomeni di attrito le velocità sono più basse.

 

 

 

 

Tale flusso di modifica in corrispondenza della biforcazione carotidea, al bulbo, ove si determinano dei flussi vorticosi  che spiegano perché questa sia la sede più frequentemente colpita dall’aterosclerosi, in particolare la parete laterale, altro punto critico si trova a circa 2 cm dall’origine della carotide interna, dove si forma un leggero arco.

Il DP  con analisi spettrale evidenzia meglio il flusso laminare che è rappresentato da un profilo spettrale ristretto, al cui interno si determina una finestra acustica di ampie dimensioni. Nella fase ascendente  della sistole la curva appare piuttosto sottile perché la velocità delle emazia è uniforme, mentre nella fase discendente e nella diastole esiste maggior dispersione delle velocità.

La velocità massima nelle carotidi comuni è generalmente intorno ai 100 cm/secondo, con ampia variabilità da soggetto a soggetto.

La carotide interna e l’esterna si differenziano per l’aspetto flussimetrico, essendo la prima un’arteria con flusso parenchimale a basse resistenze e la seconda con flusso  di tipo muscolare, ad alte resistenze.

In alcuni casi la distinzione tra le due può essere difficoltosa, per esempio in caso di vasodilatazione, in cui diminuiscono le resistenze nel territorio della carotide esterna, oppure per stenosi o tortuosità della carotide interna, in questo caso si può dirimere il dubbio con l’individuazione dell’arteria tiroidea superiore, ramo collaterale della carotide esterna, o, quando questa non sia visibile, con la manovra di percussione ripetuta, con un dito, dell’arteria temporale, che determina un reperto acustico percepibile in corrispondenza della carotide esterna come piccole pulsazioni.

 

 

QUADRI  PARTICOLARI

 

DISTRETTO CAROTIDEO

 

OCCLUSIONE CAROTIDE INTERNA

Il reperto del vaso occluso può sfuggire alla semplice osservazione ecografia, perché frequentemente, anche in fasi non recenti, il contenuto del vaso è ipoecogeno similmente al sangue; al DP e CD si può osservare la mancanza del flusso e del colore. In questa patologia si osservano modificazioni del flusso nella carotide esterna, che presenta un aumento della quota diastolica, per diminuzione delle resistenze periferiche, legata al determinarsi di flussi collaterali di compenso per il parenchima cerebrale, inoltre si osserva un’inversione del flusso nell’arteria oftalmica omolaterale; la carotide interna controlaterale può presentare un incremento del flusso, per fenomeni di compenso attraverso il poligono di Willis.

 

ANEURISMI

Gli aneurismi delle carotidi e del tronco anonimo sono relativamente rare e dipendono prevalentemente da patologia ateromasica, meno frequentemente da traumi e da lesioni iatrogene.

 

ANEURISMA DISSECANTE

E’ piuttosto raro, legato alla fissurazione della parete con formazione di un falso lume rappresentato dalla breccia parietale, e un lume vero in cui scorre il flusso principale, la gravità della lesione dipende pertanto dalla sua lunghezza e dall’entità della compromissione emodinamica secondaria che si determina.

 

COILING E KINKING

La tortuosità degli assi carotidei tende ad accentuarsi con l’invecchiamento ed in maggior misura negli ipertesi, per lo stress di parete determinato dall’ipertensione, in alcuni soggetti tale tortuosità è particolarmente accentuata, per cui si osservano modificazioni dell’asse del vaso con curvature particolarmente accentuale, si parla di coiling quando il vaso descrive un’ansa a C, nel Kinking l’angolo di curvatura si avvicina ai 180° per una brusca curvatura sul proprio asse. Questi aspetti del vaso si accompagnano a fenomeni emodinamici d’accelerazione del flusso, cui può associarsi patologia ateromasica, sono però spesso totalmente asintomatici, non determinando perdita di flusso a valle.

 

ASPETTO ECOGRAFICO DOPO TEA

Dopo endoarteriectomia, intervento di rimozione della placca, mediante scollamento della stessa dalle pareti del vaso, l’aspetto ecografico si modifica per la mancanza di un’evidente demarcazione della linea endoteliale, sono possibili però nel tempo fenomeni di proliferazione fibrosa con ispessimento della parete.

 

PROTESI

Le protesi sono ben visibili all’ED per l’aspetto segmentato e per la mancanza della linea endoteliale, rimane fondamentale lo studio della pervietà col CD e DP, essendo soggette a riduzione del calibro ed occlusione.

 

STENT

Gli stent presentano aspetti analoghi a quelli delle protesi, manca in questi casi una storia chirurgica, inoltre lo spessore di parete è maggiore che nel caso delle protesi perché il materiale dell’ateroma è compresso al di sotto dello stent.

 

ARTERITE DI HORTON

Colpisce individui anziani e si manifesta con cefalea turbe del visus per ischemia del nervo ottico o collusione dell’arteria centrale della retina. E’ frequentemente associata alla polimialgia reumatica. L’arteria colpita è spesso palpabile, indurita e dolente. I tratti arteriosi interessati sono prevalentemente l’arteria temporale superficiale, la vertebrale, l’oftalmica, l’arteria centrale della retina, meno spesso la carotide esterna e l’interna. Il quadro strumentale è determinato dalla presenza di stenosi secondaria all’ispessimento della parete. Per lo studio della temporale sono necessarie sonde a frequenza elevata (da 10 MHz).

 

 

MALATTIA DI TAKAYASHU

Si tratta di un’arteriopatia di tipo infiammatorio che colpisce le tonache arteriose, prevalentemente a livello delle carotidi interne,  ma può interessare altri segmenti arteriosi a livello dell’arco aortico, più raramente altri distretti.

Presenta una fase acuta o infiammatoria in cui si nota l’ispessimento di tutta la parete arteriosa, sia sul versante esterno (avventiziale, sia interno tramite proliferazione intimale; quest’ispessimento mantiene il calibro esterno del vaso riducendo il suo lume in maniera concentrica. Quest’ispessimento parietale è omogeneo, ipoecogeno a contorni sfumati e il bordo intimale è poco visibile o non evidenziabile. Tale patologia può evolvere nell’occlusione dei vasi interessati creando patologie ischemiche secondarie correlate al distretto interessato. Nelle fasi di stabilizzazione, di lunga durata, si può osservare un aumento dell’ecogenicità parietale, per fibrosi, e possibili calcificazioni. Il versante vascolare interno è spesso sfumato ed irregolare, il calibro esterno può essere irregolare bernoccoluto od ectasico.

 

 

ARTERIA VERTEBRALE

 

LA SINDROME DA FURTO DELLA SUCCLAVIA

E’ una sindrome emodinamica che si determina per l’occlusione o la stenosi serrata dell’arteria succlavia alla sua origine, nel tratto prevertebrale, con caduta presso ria a valle. Il sistema anastomotico di compenso che si viene a determinare è ben studiabile, infatti, il flusso per l’arto superiore è fornito dall’arteria vertebrale, il cui flusso diventa cerebrofugo, ben valutabile al DP e al CD. L’aspetto di tale circolo di compenso può presentarsi in più modalità; è possibile il furto continuo, quando l’occlusione della succlavia è totale, in cui il flusso vertebrale è costantemente invertito, il flusso nelle arterie ascellare e brachiale invece è tipicamente demodulato, altra situazione è quella del furto incompleto, in cui, in condizioni di riposo, il flusso vertebrale è normalmente normodiretto, cerebropeto, ma  in condizioni di sollecitazione muscolare dell’arto superiore, per iperemia richiesta dallo sforzo, si determina il furto, condizione nota come furto intermittente. Dal punto di vista emodinamico il furto della succlavia è fornito principalmente dalla vertebrale controlaterale, attraverso l’arteria basilare, ed è asintomatico, pertanto questa situazione clinica generalmente non richiede un’intervento chirurgico correttivo, salvo che per situazioni più gravi che comportino impotenza funzionale dell’arto superiore. In caso di anomala origine della vertebrale dall’anonima o dall’arco aortico, il furto della succlavia può avvenire a spese del tronco tireocervicale o di altri rami collaterali.

 

PATOLOGIA ATEROMASICA

Colpisce prevalentemente l’ostio, non sempre ben studiabile direttamente, ma in genere valutabile più a valle per le alterazioni emodinamiche che determina, più raramente interessa tratti distali. La non visibilità di un’arteria vertebrale al CD può lasciare spazio a due interpretazioni perché oltre alla possibile occlusione all’origine è possibile un’aplasia.

 

VERTIGINI VERTEBRALI

E’ un capitolo piuttosto controverso, perché, al di là di possibili TIA del territorio vertebrale, principalmente su base embolia cardiogena, l’accertamento con CD non fornisce informazioni utili nella spiegazione di tale sintomatologia. Un dato frequente che si può riscontrare in questa situazione è la tortuosità delle vertebrali, ma i dati flussimetrici generalmente non sono significativi. E’ possibile talora, con manovre posturali del capo, ruotando la testa, osservare una transitoria riduzione del flusso vertebrale in pazienti con artrosi osteofitaria.

 

ARTO SUPERIORE

 

LA FISTOLA ARTEROVENOSA

E’ un collegamento utilizzato in pazienti sottoposti ad emodialisi cronica per creare un buon accesso venoso alla dialisi, con buona portata ematica; consiste nell’anastomosi tra arteria e vena radiale. La FAV si crea a livello dell’estremo distale dell’avambraccio non dominante, con varie modalità d’abboccamento dell’arteria alla vena: termino terminale, termino laterale o laterolaterale, scelti in base a caratteristiche del paziente.

Il loro controllo è utile per prevenire rischi di occlusione, attualmente con sonde ad alta frequenza (> 10 MHz) è possibile uno studio preciso di tali vasi. La regolazione della PRF deve essere portata ad alte frequenze (da 1000 a 6000 Hz) e va modulata durante l’esame. Quando si determinino dilatazioni aneurismatiche venose di grosse dimensioni è necessario utilizzare PRF basse. Le vibrazioni di parete nelle fistole sono cospicue

L’esame si esegue con paziente seduto e braccio in posizione prona, partendo dall’arteria brachiale scendendo trasversalmente alla biforcazione, alla radiale e all’ulnare, successivamente si segue il versante venoso verso il braccio.

Il ramo efferente della fistola è facilmente individuabile per il maggior calibro e per le modificazioni del flusso. Questo si presenta piuttosto omogeneo, laminare, con turbolenze in prossimità dell’anastomosi, il ramo venoso efferente è spesso varicoso, con dilatazioni irregolari, con flusso vorticoso. Nel versante arterioso si osserva una riduzione delle resistenze periferiche con aumento della velocità (sia sistolica che diastolica) man mano che ci si avvicina allo shunt, ove sono presenti turbolenze che alterano il segnale doppler, il versante venoso si presenta arterizzato mostrando fasicità sistodiastolica.

Le alterazioni della fistola possono colpire sia l’arteria afferente, con fenomeni ateromasici, che ne riducono la portata, sia la vena efferente, con fenomeni di stenosi, da iperplasia, trombosi e manifestazioni ateromasiche legate alla turbolenza del flusso. Frequenti gli aneurismi venosi. Gli pseudoaneurismi sono invece legati a rottura della parete vasale (in seguito a puntura per dialisi), con formazione di un ematoma perivascolare che comunica col lume. Frequenti anche le raccolte ematiche pervasali.

Fenomeni accessori possibili nelle FAV sono i furti, legati alla riduzione dell’apporto ematico a livello della mano, con deficit funzionale e stasi venosa da inadeguato scarico venoso della mano. Possibili per FAV troppo ampie patologie da flusso ad alta gittata.

 

 

AORTA ADDOMINALE

 

Rapporti anatomici

 

L’aorta addominale è situata anteriormente e a sinistra delle vertebre lombari, dividendosi nelle arterie iliache comuni a livello di L5. E’ contornata da connettivo ed è in rapporto dall’alto in basso col pancreas, porzione orizzontale del duodeno e margine aderente del mesentere ed è incrociata dalla vena splenica e renale sinistra. A destra è affiancata dalla vena cava inferiore, e in alto dal pilastro mediale del diaframma e lobo caudato del fegato. A sinistra ha rapporti col surrene, polo superiore del rene, vena spermatica ed uretere. Ha un decorso rettilineo ed un diametro di circa 20 mm nel tratto superiore e 17 alla biforcazione. Il calibro varia in relazione a sesso costituzione ed età, potendo aumentare negli anni.

 

Tecnica d’esame

 

L’aorta addominale è una struttura da valutare almeno nei pazienti ultrasessantenni, nel corso di un esame ecografico.
Per la sua esplorazione si usano sonde convex da 3.5 MHz o, se in dotazione, per pazienti obesi da 2 o 2.5 MHz.
L’esame viene condotto con sonda in asse longitudinale e trasversale con paziente supino, tuttavia, specie in presenza di meteorismo, può essere condotto con paziente in decubito laterale dx o sax esplorando dal fianco, orientando opportunamente la sonda.

 

REPERTI PATOLOGICI

 

Alterazioni di decorso:

con gli anni si allunga e può diventare sinuosa, specie nel sesso femminile e negli ipertesi,

 

Alterazioni del calibro:

riduzioni del calibro come la coartazioni sono rare ed interessano l’aorta toracica, più frequenti le dilatazioni del vaso. Talora è interessata tutta l’aorta con aspetto di dolicomegaaorta. La patologia più frequente è rappresentata dall’aneurisma, patologia per lo più a patogenesi aterosclerotica, con frequenza massima oltre i 70 anni. Negli ultrasessantacinquenni la sua prevalenza e dell’1% della popolazione. L’ecografia è la metodica d’elezione per il follow up dell’aneurisma.

La maggior parte degli aneurismi dell’aorta addominale originano a valle dell’emergenza delle arterie renali e dell’incrocio con la vena renale sinistra.

Nel lume dell’aneurisma sono spesso presenti formazioni trombotiche ed ateromi, che possono ridurre il lume pervio anche in misura rilevante.

L’ecografia consente di valutare con ottima accuratezza le dimensioni dell’aneurisma in particolare nei diametri assiali, estensione craniocaudale, può fornire indicazioni sulla presenza ed estensione degli ateromi e dei trombi endoluminali (l’entità dei quali assume importanza per valutare il rischio di rottura dell’aneurisma). Importante la valutazione dei diametri ed i rapporti con l’arteria renale che condiziona il tipo di trattamento chirurgico.

Il sospetto di fissurazione dell’aneurisma richiede valutazione con TAC o RM.

 

Aneurisma infiammatorio

È caratterizzato dall’infiltrazione di cellule della flogosi nell’avventizia. Questo tessuto infiammatoria appare localizzato esternamente alle pareti anteriori e laterali del vaso, mentre la posteriore è risparmiata. Talora il tessuto infiammatorio della regione periaortica si estende al retroperitoneo, inglobando le strutture contigue, quali la cava inferiore, gli ureteri, le vene renali, i vasi iliaci, il duodeno ed il colon.

All’ECT la fibrosi periaortica si traduce in una banda ipoecogena, a margini netti, di vario spessore, estesa alla metà anteriore del vaso. E’ possibile inoltre visualizzare, se presenti l’idronefrosi e l’inglobamento della vena cava inferiore.

 

Aneurisma ischemico

 

Origina da un’ischemia circoscritta della parete aortica da trombosi dei vasa vasorum. Presenta elevato rischio di rottura nonostante le piccole dimensioni.

 

Aneurisma dissecante

 

Affezione della tunica media dell’aorta prodotta per lo più da medionecrosi cistica, è più frequente nell’aorta toracica. Il reperto ECT è costituito da presenza di due lumi, vero e falso e di un flap intimale che separa i due lumi, la sua valutazione avviene tuttavia con colordoppler.

 

Patologia stenoostruttiva

 

Ateromasia parietale

 

Trombosi e tromboembolismo

 

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DISTRETTO CELIACO MESENTERICO

 

Il tronco celiaco è il più craniale dei rami collaterali dell’aorta addominale, si divide nell’arteria epatica comune, splenica e gastrica sinistra.

L’arteria mesenterica superiore origina poco sotto il tronco celiaco e rifornisce di sangue l’intestino compreso tra la porzione distale del duodeno ed il tratto distale del colon traverso, l’arteria mesenterica inferiore, più caudale irrora il tratto distale del colon traverso il sigma ed il retto fino all’ano. Per la presenza di numerosi rami anastomotici è possibile nelle patologie steno-ostruttive a lenta progressione la formazione di circoli collaterali di compenso.

Il tronco celiaco ed i suoi rami principali sono facilmente esplorabili in corrispondenza dell’epigastrio, più raramente sono visibili la gastrica sinistra e l’arteria gastroduodenale.

L’arteria mesenterica superiore è visualizzabile mediante scansioni longitudinali per un discreto tratto del suo decorso. Il meteorismo intestinale, le cicatrici e l’obesità limitano tale esplorazione.

L’arteria mesenterica inferiore è ben valutabile meno frequentemente, sempre per motivi legati ad obesità e meteorismo.

L’aspetto flussimetrico delle arterie splancniche è generalmente quello di vasi parenchimali, a basse resistenze, questo aspetto è evidente nell’arteria epatica e nella splenica, mentre le arterie mesenteriche presentano un flusso di base ad alte resistenze che si modifica durante la digestione.

Lo studio dei vasi splancnici è utile per la valutazione della presenza d’ostruzioni (riscontrabili al DP e CD), e consente la valutazione dell’indice resistivo (IR) o di pulsatilità (PI) come riferimento a situazioni normali o alterate.

 

Arteria Valori IR min Valori IR max
Tripode celiaco 0.58 0.72
Arteria epatica 0.54 0.66
Arteria splenica 0.52 0.64
a. mesenterica superiore 0.83 0.90
a. mesenterica inferiore 0.90 1.00

Valori medi IR

 

 

Arteria Valori velocità massima
Tripode celiaco 103 +/- 18 cm/sec
Arteria epatica 78 +/- 16 cm/sec
Arteria splenica 85 +/- 18 cm/sec
a. mesenterica superiore 118 +/- 22 cm/sec
a. mesenterica inferiore 127 +/- 0.3 cm/sec

Velocità massime delle arterie splancniche

 

Dal calcolo della velocità media del flusso moltiplicata per la sezione del vaso è possibile determinare la portata del vaso, anche se si tratta di un parametro grossolano perché soggetto ad ampio margine d’errore, legato all’incidenza dell’angolo doppler e del calcolo della sezione del vaso.

 

Anche il distretto celiaco-mesenterico è soggetto alla patologia ateromasica, che colpisce con maggior frequenza l’origine stessa dei vasi. I reperti flussimetrici ed ecografici sono analoghi a quelli già visti per le arterie periferiche, con la differenza che si tratta per lo più di vasi di piccolo calibro.

Patologie steno-ostruttive di minor frequenza sono l’iperplasia fibromuscolare e le arteriti (vasculiti in corso di malattie autoimmuni), questi vasi, inoltre, possono essere soggetti a compressioni estrinseche o infiltrazione da masse addominali (tumori pancreas o stomaco) o da tessuto neurofibroso iperplastico del tronco celiaco o da fibrosi retroperitoneale.

Altre patologie sono rappresentate da aneurismi, che sono di solito asintomatici e pertanto di riscontro casuale all’indagine ecografia, in cui si osserva improvvisa dilatazione del vaso con flusso interno a velocità ridotta o con turbolenze, e che sono soggetti a rottura improvvisa, e fistole arterovenose d’origine più frequentemente post-traumatica o da esami invasivi (biopsie). Le fistole presentano un flusso turbolento, ad alta velocità con turbolenze che al CD mostra spesso aspetti d’aliasing.

 

VENA CAVA INFERIORE E VENE SOVRAEPATICHE

 

La vena cava inferiore si forma per la confluenza delle vene iliache comuni, a livello di L4 – L5 posteriormente all’arteria iliaca comune sinistra, a loro volta formatesi per la confluenza delle iliache interne ed esterne, costituisce il tronco di raccolta del sangue venoso sottodiaframmatico. E’ avalvolata e presenta una lunghezza di circa 22 cm di media, con variazioni relative alla statura, presenta piccoli rigonfiamenti in corrispondenza dello sbocco delle vene renali ed epatiche. Si dirige verso l’alto, lievemente a destra della linea mediana, in prossimità della superficie anteriore dei corpi vertebrali, incrociando anteriormente le arterie lombari e la renale destra. Medialmente decorre l’aorta addominale con l’interposizione di linfonodi; al di sopra dell’arteria renale si allontana dall’aorta portandosi a destra e in avanti, venendo a contatto con la porzione inferiore del duodeno e la testa del pancreas, incrocia la vena porta, posta anteriormente con l’interposizione del forame epiploico, e giunge in corrispondenza del fegato. A questo livello decorre lungo la superficie posteriore nella “fossa della vena cava”, successivamente attraversa il diaframma in corrispondenza del centro frenico, e giunge nel torace sfociando nell’atrio destro. Sono presenti numerose piccole vene anastomotiche tra la vena cava inferiore e la superiore, importanti vie collaterali in caso di patologie occlusive di uno dei due sistemi. I rami collaterali della cava inferiore sono le vene lombari e freniche, rami parietali, e le spermatiche interne, surrenali, renali ed epatiche, come rami viscerali.

Le vene sovraepatiche sono i collettori del sangue venoso del fegato; sono costituite da tre rami principali (destro, medio e sinistro), che convergono in corrispondenza della fossa della vena cava, nella vena cava inferiore tra il fegato ed il diaframma. Le vene sovraepatiche rappresentano, insieme alla vena porta, degli importanti riferimenti per la suddivisione schematica dei lobi epatici.

Esistono inoltre piccole vene, le vene epatiche, che drenano sangue dalla capsula e dalle porzioni di fegato vicine alla fossa.

 

Il flusso della vena cava è influenzato dalla respirazione e dall’attività cardiaca, la pressione venosa decresce dalle vene iliache verso il cuore, azzerandosi a livello del diaframma e negativizzandosi all’ingresso nel cuore.

Gli effetti respiratori sulla pressione sono evidenti, nel normale, al di sopra delle vene renali, e si accentuano in corrispondenza dell’ingresso delle vene sovraepatiche. L’inspirazione determina una riduzione della pressione nella VCI ed un coincidente aumento nelle vene epatiche e vena porta. Nel tratto soprarenale della VCI pertanto il flusso è massimo durante l’inspirazione per ridursi al minimo a fine inspirazione e durante l’’espirazione, nel tratto sottorenali tali manifestazioni sono presenti, ma meno evidenti. Al contrario nelle sovraepatiche il flusso aumenta con l’espirazione e diminuisce nell’inspirazione. La manovra di Valsalva aumenta la pressione in atrio dx e nella VCI determinando un rallentamento del flusso, mentre l’attività fisica ne determina un aumento.

L’attività cardiaca influenza la velocità del flusso: durante la sistole ventricolare si ha un massimo (da 30 a 45 cm/sec), mentre il minimo si raggiunge durante la sistole atriale, che può produrre anche una piccola inversione di flusso.

Anche il calibro del vaso si modifica con gli atti respiratori, aumentando in espirazione e diminuendo in inspirazione, ed il ciclo cardiaco, riducendosi durante la sistole ventricolare ed aumentando durante la sistole striale.

L’aspetto velocimetrico normale della VCI è trifasico (più evidente a livello soprarenale):

Onda A di reflusso, positiva (con sonda diretta verso il diaframma) durante la contrazione atriale,

Onda S, negativa, legata al flusso anterogrado che si verifica durante la sistole per il rilasciamento striale, che determina una caduta di pressione e ne consente il riempimento rapido, fino all’apertura della tricuspide,

Onda D, negativa, di flusso anterogrado che corrisponde alla diastole ventricolare ed è determinata dallo svuotamento dell’atrio con il concomitante riempimento rapido del ventricolo.

Talora all’onda A può seguire una piccola onda C, positiva, legata al rimbalzo del piano valvolare tricuspidalico all’inizio della sistole.

Le onde A S e D corrispondono alle onde x v e y del polso venoso giugulare. L’onda S normalmente è più evidente dell’onda D per la predominanza del flusso in fase sistolica, per effetto della tachicardia l’onda S si incrementa, mentre l’onda D diminuisce.

 

INDICAZIONI CLINICHE

  • Edema arti inferiori
  • TVP
  • Masse addominali
  • Controllo filtri cavali

Le patologie che coinvolgono la vena cava e le sovraepatiche sono di tipo:

  • primitive: da sindrome di Budd Chiari, da occlusione trombotica o non trombotica della vena cava inferiore e delle sovraepatiche nel tratto sovraepatico  e da ostruzione del tratto che precede il tratto retroepatico per trombosi, neoplasia o compressione da masse estrinseche e setti membranosi
  • secondarie a patologie epatiche che determinano variazioni del flusso, come epatopatie croniche e masse epatiche
  • secondarie a patologie cardiache del cuore destro (aspetto del fegato da stasi)

 

SINDROME DI BUDD CHIARI

E’ una patologia rara che comporta ipertensione portale, legata all’occlusione delle vene sovraepatiche e o della vena cava inferiore. La sua etiologia è varia e nell’area occidentale più frequentemente legata a patologie mieloproliferative  e a ipercoagulabilità (LES, linfomi, leucemie, policitemia vera, deficit proteina C), a farmaci, neoplasie. Nei paesi orientali più frequenti le forme legate a membrane o ad infezioni e gravidanze. Spesso la causa resta misconosciuta.

L’ostruzione può interessare solo le sovraepatiche o la vena cava inferiore od entrambi e può essere parziale o totale. Tali situazioni determinano rallentamento del deflusso venoso con congestione epatica e conseguente sofferenza del parenchima che porta a citolisi, la cui gravità dipende dalla rapidità e gravità con cui si instaura l’ostruzione. Sono possibili pertanto forme acute, fulminanti, e forme subacute e croniche con ipertensione portale ed ascite. Nelle forme croniche sono spesso ben visibili dei circuiti venosi collaterali,         di aspetto serpiginoso, sulle pareti addominali, edema arti inferiori. Spesso i pazienti manifestano dolori addominali, ittero ed ematemesi o melena da sanguinamento gastroesofageo per rottura dei circoli collaterali.

Alcuni di questi pazienti, dopo completamento dello studio con TAC, cangio RM possono essere trattati con interventi di angioplastica (membrane) o qualche volta con TIPS

 

Segni ecografici Ascite,

epatomegalia,

disomogeneità epatica,

sovraepatiche non visibili o aspetti fibrotici

Segni CD Assenza segnale doppler e color

Perdita segnale trifasico che diventa bifasico o

Monobasico

Visualizzazione circoli collaterali

Possibile ostruzione vena porta

 

E’ possibile la comparsa di noduli epatici multipli da iperplasia rigenerativa, benigni, spesso più di dieci di dimensioni < ai 4 cm.

 

 

STENOSI CAVALI

L’ECD consente la visualizzazione di compressione della vena cava inferiore da masse addominali o la compressione da fibrosi retroperitoneale, o la presenza di membrane ostruenti. In  queste patologie la vena cava è dilatata a monte dell’ostruzione e manca la fasicità del flusso; anche le vene sovraepatiche sono dilatate se a monte dell’ostruzione. Nel caso di ostruzione della cava a livello dell’ostio diaframmatici, il flusso cavale è invertito e può mancare la dilatazione delle vene epatiche.

 

TROMBOSI CAVALI

Può essere legata all’estensione di trombosi iliaca o ilacofemorale, più spesso è legata a trombosi neoplastica di origine renale o epatica, in questi casi si osservano trombi flottanti con ostruzione incompleta del flusso, che si presenta turbolento a livello del trombo, rallentato a monte.

 

EPATOPATIE CRONICHE

Le modificazioni del parenchima epatico in corso di epatopatie croniche determinano compressione delle vene sovraepatiche, che possono perdere pertanto l’aspetto flussimetrico modulato, trifasico, che diventa bifasico o monobasico.

 

PATOLOGIE CARDIACHE

Sono legate ad ipertensione del cuore destro determinato da varie patologie (ipertensione polmonare, insufficienza tricuspidalica, shunt sinistro-destro, miocardiopatie, pericarditi costrittive ecc.) Il quadro ECD è caratterizzato da incremento dell’onda A e comparsa di una seconda onda di reflusso tra S e D.

Nell’insufficienza tricuspidalica, secondo della gravità si assiste a riduzione scomparsa progressiva e inversione dell’onda S con aumento della D.

Nella pericardite costrittiva si osserva dilatazione delle sovraepatiche, mancata riduzione del calibro, aumento dell’onda A per la maggior contrazione atriale  e alta pressione del ventricolo destro, ed una D maggiore della S, a volte scarsamente visibili e può esserci un’onda di reflusso tra S e D per l’alta pressione diastolica striale (da ridotta distensibilità ventricolare). Le vene epatiche sono dilatate e la cava perde la sua modulazione di flusso.

Nell’ipertensione polmonare si osserva incremento dell’onda A.

Nelle cardiopatie congenite si osserva incremento dell’onda A e fusione delle onde S e D sia nella cava sia nelle sovraepatiche., con possibile influenza della vena porta.

 

Studio ecocolordoppler dell’asse splenoportale

 

 

La vena porta origina dalla confluenza della vena splenica con la mesenterica superiore posteriormente alla testa del pancreas. La vena splenica origina dalla confluenza, in prossimità della coda del pancreas, delle vene dell’ilo splenico, delle vene gastriche brevi ed elle vene tributarie del pancreas, la vena gastroepiploica sx entra nella vena splenica vicino alla milza. La vena mesenterica inferiore, che drena sangue dal retto e colon sx, si anastomizza alla splenica al terzo medio, mentre la gastrica sx (o coronaria) si unisce alla porta vicino alla sua origine, anche la coronaria dx è tributaria della vena porta.

Il flusso venoso di scarico del fegato attraverso i sinusoidi giunge nelle vene epatiche che, a loro volta, confluiscono nella vena cava inferiore

 

L’ipertensione portale

Si distinguono forme sinusoidali, presinusoidali e postsinusoidali.

Le presinusoidali sono legate a pileflebite, piletrombosi o a compressioni della porta.

Le sinusoidali sono legate a forme mieloproliferative, fibrosi epatica congenita, cirrosi biliare primitiva, sarcoidosi e schistosomiasi, Comprendono anche le forme da iperafflusso (da fistola AV splenica, da malattie infiammatorie e gravi splenomegalie).

Le postsinusoidali comprendono la sindrome di Budd Chiari, la pericardite costrittiva e lo scompenso cardiaco destro

In Europa la causa prevalente d’ipertensione portale è la cirrosi epatica, mentre in Asia e sudamerica prevalgono schistosomiasi, la fibrosi portale non cirrotica e la trombosi extrepatica della vena porta.

 

Effetti dell’ipertensione portale

 

  1. a) Dilatazione vasi portali extraepatici
  2. b) Formazione di circoli collaterali portosistemici
  3. c) Rallentamento del flusso venoso portale

 

Modificazioni del flusso portale

Nella norma il flusso in inspirazione diminuisce, mentre il calibro degli assi portali aumenta, per la pressione del diaframma sul fegato, l’inverso avviene nell’espirazione, anche nella vena cava in espirazione il flusso aumenta per la negativizzazione della pressione intratoracica. Questi caratteri di flusso si alterano per l’aumento della pressione intravasale con riduzione o perdita di tali aspetti, sia per la rigidità dei vasi, che per la fibrosi epatica. Queste alterazioni si studiano a livello della vena splenica o della mesenterica superiore. La dilatazione portale negli atti respiratori si riduce o scompare (sensibiltà 80%)

 

Misurazione della vena porta

Si effettua lungo l’asse longitudinale del vaso, in scansione sottocostale obliqua destra, nel tratto medio, all’incrocio con l’arteria epatica (valori compresi tra 10 e 16 mm di diametro) o nel tratto subito sopra la confluenza tra vena splenica e mesenterica superiore (diametro < a 12 mm). Un calibro > di 15 mm è in ogni modo indicativo d’ipertensione portale, mentre > di 17 è indicativo di rischio d’emorragia da varici esofagee. Può esistere ipertensione portale in assenza di dilatazione dell’asse venoso. I vasi intraepatici maggiori possono essere dilatati ed i rami secondari tortuosi per la compressione da noduli

Anche la vena splenica e la mesenterica superiore possono essere dilatate (il loro calibro normale è tra 10 e 12 mm). Una dilatazione maggiore di 10 mm della splenica a livello del corpo del pancreas è indicativa d’ipertensione portale e si associa costantemente a splenomegalia, più specifica la dilatazione della vena mesenterica superiore.

 

Valutazione ecocolordoppler del flusso portale

Il CD ed il PD consentono una valutazione diretta del flusso, che va rilevato in corrispondenza del repere ecografico all’incrocio con l’arteria epatica, il volume campione deve corrispondere al 50% del vaso. La velocità media è compresa tra 12 e 20 cm/sec, nel cirrotico tra 8 e 13. La trombosi portale e la sua trasformazione cavernomatosa alterano la velocità del flusso fino alla scomparsa.

Caratteri flussimetrici

Normalmente il flusso portale è continuo con oscillazioni modulate dagli atti respiratori (diminuisce in inspirazione e aumenta in espirazione).

Nell’ipertensione portale il flusso rallenta e diventa continuo.

Nello scompenso cardiaco destro si osserva pulsazione della vena porta, associata a dilatazione delle vene sovraepatiche.

Direzione del flusso

Normalmente il flusso procede dalla vena splenica verso la vena porta ed i suoi rami, flusso epatopeto.

In forme molto avanzate d’ipertensione portale, in assenza d’efficaci shunt portosistemici (vena ombelicale ecc.) il flusso può invertirsi e diventa epatofugo.

Nelle trombosi complete c’è assenza di flusso, nelle parziali e nel cavernoma il flusso è in genere rallentato e può essere invertito a monte (vena splenica e mesenterica superiore).

 

Cause principali trombosi portale

Cirrosi epatica

Tumori epatobiliari

Pancreatite

Malattie mieloproliferative

Difetti genetici coagulazione

Colecistiti

Infarto intestinale

Tumori gastrici e pancreatici

Postumi chirurgici

 

Diagnosi ecocolordoppler trombosi portale

Assenza di flusso al DP o flusso ridotto all’interno del vaso, possibile immagine iperecogena nelle forme croniche

Assenza di colore o colore irregolare e ridotto nelle forme parziali

 

Cavernoma portale

Si origina come conseguenza di una trombosi portale completa per la formazione di vasi collaterali intorno al vaso ostruito.

L’aspetto ecografico è caratterizzato da formazioni ecogene circondate da numerose piccole formazioni vascolari tortuose anecogene presenti all’ilo epatico lungo il decorso della vena porta. All’ecodoppler si evidenzia un flusso venoso turbolento all’interno di questi vasi neoformati, che al CD appaiono come chiazze di colore.

 

Splenomegalia

Si associa costantemente all’ipertensione portale, tanto da esserne un indizio sospetto. Può tuttavia essere secondaria a patologie infettive, neoplastiche, mieloproliferative e immunopatie.

La misurazione del diametro splenico si effettua con scansione intercostale sx secondo un piano passante per l’ilo splenico, negli assi longitudinale, trasversale e dello spessore.

Valori superiori a 12, 6 e 4-5 cm sono da considerare patologici.

Nell’ipertensione portali è costante la presenza di varici all’ilo splenico.

 

Circoli collaterali porto-sistemici

L’apertura di collaterali porto-sistemici è un tentativo di compenso dell’ipertensione portale mediante la deviazione del flusso ematico dal distretto portale a circoli alternativi a minor pressione. Nelle malattie in cui si determina tale ipertensione, per prima la cirrosi, si creano circoli varicosi a livello della vena gastrica sinistra e delle gastriche brevi con rischio emorragico secondario alla loro rottura o a quella delle varici esofagee collegate. Spesso si ricanalizza la vena paraombelicale (aspetto a caput medusae), si determinano varici retroperitoneali ed emorroidarie (dalla mesenterica inferiore).

 

 

Conseguenze formazione circoli collaterali

 

Oltre che l’emorragia secondaria alla rottura delle varici si possono determinare la formazione di versamento ascitico, splenomegalia, gastropatia ed encefalopatia portosistemica.

 

Visualizzazione circoli collaterali

 

All’ecografia si evidenziano immagini ipoecogene tondeggianti o nastriformi, secondo la sezione in cui sono esplorate, del diametro variabile da pochi mm a 2-3 cm, che all’ED mostrano un flusso continuo di carattere venoso, con analogo aspetto al CD.

Il circolo paraombelicale è costituito dalla vena paraombelicale, che decorre tra III e IV segmento e spesso può essere seguita fino alla parete addominale in sede paraombelicale o in fossa iliaca. Il flusso di questa vena è epatofugo.

Il circolo della vena gastrica sx origina dalla vena porta o dalla splenica e, attraverso le vene azygos collega il circolo portale con il circolo della vena cava superiore. Tale circolo è visibile posteriormente al lobo epatico sinistro in sezioni sagittali all’epigastrio. La vena gastrica può evidenziarsi all’anastomosi con la porta o la splenica, se di calibro > di 7 mm è indicativa di varici esofagee.
I circoli splenorenali collegano rami della splenica con la vena renale sinistra, e si visualizzano in posizione inferomediale rispetto al polo inferiore della milza, con aspetto varicoso. E’ raro vedere l’anastomosi con la vena renale. Rappresentano un valido sistema di compenso con discreta portata e si associano ad inversione del flusso portale.

I circoli delle vene gastriche brevi sono visualizzati tra la milza e la parete gastrica e sono correlati a presenza di varici esofagee.

Circoli collaterali meno evidenti sono pericolecistico e peripancreatico, onfaloiliocavali, splenoretroperitoneali e splenoportali.
Dopo trattamenti come la TACE in pazienti con HCC è possibile la formazione di fistole artero-portale.  I caratteri PD sono la presenza di flusso molto turbolento, con elevata velocità e bassa impedenza che al CD corrisponde all’aspetto di “matassa” di colore

Nel ramo arterioso afferente alla fistola vi è flusso di bassa impedenza (basso RI); nel ramo portale adiacente si determina un’inversione con flusso fasico, con velocità massima raggiunta poco dopo la comparsa del picco sistolico nell’arteria

Altro tipo di fistola artero-venosa può osservarsi in sede splenica. All’interno della struttura ectasica all’ilo splenico non si rileva flusso piatto venoso come da circolo collaterale, ma flusso elevatissimo e molto turbolento, con fasicità arteriosa e basse impedenze, suggestivo per fistola AV.

Testi consultati:

  • A Kappert: ANGIOLOGIA –SEU Roma 1991
  • Browse, Burnard, Thomas –Malattie delle vene 1992 Momento Medico editore
  • Hennerici, D. Neuerburg-Heusler: Diagnostica vascolare con ultrasuoni.1991 Il Pensiero Scientifico Editore
  • B. Agus: Vasculopatie degli arti inferiori a rischio trombotico 1995 Roussel Pharma ed.
  • Corso di ecocolordoppler in medicina interna- Syllabus – Centro Ultrasonologia internistica dell’Università degli studi di Bologna- Dipartimento di Medicina Interna e Gastroenterologia 2001
  • Franceschi, G. Franco, F. Luizy, M. Tanitte: Compendio di ecotomografia vascolare 1989 Vigot ed.
  • L. Antignani, B. Amato, A. De Fabritiis, P. Laglia, L. Poli: Il doppler ad onda continua 1988 Centro Scientifico Torinese Ed.
  • L. Antignani, L. Poli, B. Amato, U. Riba: Il duplexscanner ed il colordoppler nella patologia vascolare. 1993 Centro Scientifico Editore
  • Annoni, L. Poli: Ultrasonologia vascolare- Corso GIUV 1992 Stampa Medica ed.
  • Rabbia, R. De Lucchi, R. Cirillo: Eco-color-doppler vascolare II ed –1997 Edizioni Minerva Medica
  • Schmidt: Diagnosi differenziale ecografia – 2003 Verducci Editore
  • Atlante di ecografia in gastroenterologia – a cura di S. Fiorucci. A. Morelli- 2001Pacini Editore
  • Trattato Italiano di Ecografia- Paletto edizioni 1993
  • Gatti, S. Longo, F. Trotta: Corso di formazione in ecografia internistica 2004

 

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